UNORTHODOX E I CLICHÉ

UNORTHODOX E I CLICHÉ

Unorthodox di Maria Schrader

Non sono un grande appassionato di serie, ma solleticato dai pareri entusiastici che avevo letto, ho deciso di guardare Unorthodox. Dopo Wir Kinder von Bahnhof Zoo, la serie incentrata sulla storia di Christiane F., speravo in qualcosa meno intrisa di cliché e luoghi comuni. La serie tedesca che ha riproposto (in una chiave improbabilmente moderna) la storia di Christiane F., tolte premesse e sistemate le numerose falle, avrebbe potuto essere godibile. Invece ne è uscito un pastrocchio completamente sprovvisto del fascino e della crudezza della pellicola datata 1981.
Unorthodox, perlomeno, partiva da un considerevole rating sia di pubblico (82%) che di critica (96%).

Una serie Netflix

La serie è tratta liberamente dal libro autobiografico di Deborah Feldman, una donna nata e cresciuta in una comunità ultra-ortodossa chassidica. I 4 episodi di Unorthodox si svolgono quasi interamente a Berlino.
Da appassionato di fotografia e video mi interessa sempre osservare e constatare quanto i registi e i direttori della fotografia riescano a catturarne e intrappolare il mood e l’essenza della capitale tedesca. Gli unici timori erano quelli di una produzione troppo a stelle e strisce, basata sugli standard delle varie produzioni Netflix, Prime e altri; ovvero, salvo poche eccezioni, più attente a incontrare che stimolare le esigenze e il gusto dello spettatore medio.

Unorthodox
L’accattivante sfondo berlinese

I miei dubbi si sono rivelati fondati: a parte i prevedibili e ineccepibili standard tecnici, Unorthodox evidenzia un’ingente quantità di pecche. Un peccato, perché il soggetto è intrigante e appassionante: nonostante il fastidio, la trama mi ha tenuto inchiodato fino alla fine.
Purtroppo la rappresentazione di Berlino è banalizzata in maniera agghiacciante; non va oltre alla funzione di accattivante – e sostituibile – cornice e sfondo. Ciò che più mi ha spiazzato è stata la totale mancanza di credibilità delle situazioni e dei personaggi, che certo non ha aiutato i pur bravi attori, né a sorreggere l’intero impianto narrativo.

Leggerezza e faciloneria

Unorthodox si è rivelata una serie priva di spessore e intrisa di tutti quei cliché su Berlino che personalmente mi hanno stancato. I luoghi comuni non sono necessariamente fasulli o negativi, ma il loro abuso è sfociato in un risultato imbarazzante, e Berlino ne esce con un’immagine troppo patinata, da dépliant pubblicitario. Una scelta che alimenta il sospetto di centrare l’obbiettivo di un target preciso. Ovvero, quello di visitatori e turisti facilmente suggestionabili con immagini da cartolina, ma che poi, una volta a Berlino, ne sono delusi. Forse è ingenuo attendersi realismo e credibilità da produzioni che puntano, come già accennato, ad affabulare un pubblico forse un po’ assuefatto.

Unorthodox cliché
Buon intrattenimento

La durata complessiva di Unorthodox, di poco superiore alle tre ore, ne agevola la visione fino alla fine.
Va detto anche che, a mio avviso, nonostante i vari fastidi e scricchiolii, le vicissitudini di Esther (la protagonista), appassionano. Tuttavia, alla fine mi è restata una sensazione simile a quella di insoddisfazione e pesantezza che provo quelle rare volte che mangio in un fast food.

La vera Berlino

Sono diversi i titoli che raccontano degnamente e in modo credibile Berlino, senza stereotipi e cliché. Per esempio, il classico Good bye, Lenin!, il meno noto Oh Boy, un caffè a Berlino, il notturno e frenetico Victoria, infine il mai abbastanza ricordato Lola Rennt.
Invece, per quanto riguarda le serie, consiglio vivamente Kleo, una serie pulp divertente e poco convenzionale, la cui trama si svolge a cavallo della caduta del Muro .

Ostalgie
Victoria film

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