UN BERLINESE SENZA PASSAPORTO

UN BERLINESE SENZA PASSAPORTO

L’italiano di Berlino

Mi sono liberato da ogni parvenza di orgoglio o sentimento di appartenenza, alla soglia dei 40 anni.
Improvvisamente patriottismo e nazionalismo si sono svuotati di qualsiasi significato. In quel periodo avevo cominciato a sentirmi a casa in una città e in una nazione dove non ero nato.
Un berlinese senza alcuna certificazione né passaporto. La prima volta che sono stato a Berlino, si trattò di una vacanza troppo breve per capirla. Credo di non essere stato a lungo in grado di comprendere il peso e la portata del vivere in un posto così atipico. A scuola avevo studiato la città del Muro, senza pormi troppe domande. Avevo acquisito quella nozione come un normale e incontrovertibile dato di fatto. Una peculiarità che non lasciava emergere in me interrogativi su cosa il Muro rappresentasse per chi doveva conviverci quotidianamente. Non era un monumento e lo sapevo bene, eppure per me il Muro stava a Berlino come il Colosseo stava a Roma.

Campioni del mondo!

Per quanto attualmente mi ritenga allergico a qualsiasi forma di campanilismo, so che in passato anch’io ho provato orgoglio per le mie radici bolognesi e italiane. Avevo 13 anni quando la nazionale vinse i mondiali di calcio in Spagna, e “qualcuno” in più quando trionfò a quelli del 2006, proprio a Berlino.
Mi lasciai travolgere dall’incontenibile euforia che si propagò lungo l’intero stivale, ma rispetto a 24 anni prima, provai anche un certo imbarazzo. La prima volta presi parte ai chiassosi cortei e ai bagni nelle fontane; la seconda assecondai l’isterica gioia collettiva unendomi ai cori e agli sfottò contro i francesi. Mi sentii sciocco e patetico, mentre gridavo “campioni del mondo” piegato da quell’irragionevole e primitivo istinto. “Abbiamo vinto” urlavo, io che non ho mai amato il calcio.
Da ragazzino, nei cortili, ero talmente una pippa che finivo puntualmente tra gli scarti, i non scelti. Quindi no, io non avevo davvero vinto un cazzo.

Bologna – Roma – Berlino

Bologna, tra gli anni ’70 e ’80, era considerata la città italiana virtuosa. L’esempio massimo, il riconosciuto simbolo di pregevoli senso civico, progressismo e qualità della vita. All’epoca pensavo che fosse una nomea un po’ esagerata, ma quando mi trasferii a Roma, poco più che ventenne, ne riconobbi tutte le ragioni. Da un po’ di tempo sono tornato a vivere nella mia città natale e, sebbene nemmeno oggi si tratti di un amore viscerale, ne apprezzo i vantaggi. Con Roma, dove ho vissuto venticinque anni, ho invece avuto un rapporto a dir poco altalenante, fatto di voli pindarici e di discese negli inferi. Ma la Città Eterna riusciva sempre a farsi perdonare per la sua sciatteria. Bastava una passeggiata sul Lungotevere o all’Aventino per farci pace e rinnovarle tutto il mio amore.
Inoltre, c’erano gli affetti, ovvero la famiglia selezionata. È stata quest’ultima – oltre quella biologica – a trattenermi in Italia, ma se avessi avuto poteri magici, le avrei portate entrambe con me a Berlino.

Pesi e misure

Talvolta mi accade di provare vergogna per la mia italianità. So bene che la vita nel Belpaese, per quanto potrebbe e dovrebbe migliorare, non è certo un inferno, ma il bicchiere mezzo vuoto non mi disseta mai. Non mi riesce di piegarmi all’irritante banalità del “c’è chi sta peggio”.

BERLINESE SENZA CERTIFICAZIONE E PASSAPORTO Oberbaumbrücke
Il falso mito della città brutta

«Berlino è orrenda e con un clima di merda». Oppure: «il cibo in Germania fa schifo, i tedeschi sono freddi e non hanno il bidet – ergo: non si lavano». Ovviamente non sono pensieri miei, ma le esternazioni di coloro che valutano e giudicano un’altra cultura basandosi unicamente sulla propria, che provano un urticante fastidio appena fuori dal loro cancello di casa. Quegli individui immancabili nel lamentarsi, quando sono in vacanza all’estero, del caffè e della pizza che non sono, né potranno essere mai (buoni) come in Italia. Paradossalmente, i primi a frignare e a indignarsi non appena il primo imbecille li bolla come dei mafiosi rumorosi e gesticolanti.

A proposito di cliché

Aggiungono: «ma vuoi mettere la bellezza e il cibo di Roma e dell’Italia? E poi noi almeno ci sappiamo vestire». Lo ammetto pur’io: l’eleganza e l’oculatezza negli abbinamenti cromatici non sono peculiarità che balzano all’occhio girando per Berlino o per la Germania. Eppure io ho subito amato il dissennato (in Italia) pragmatismo di andare a un job center vestiti come al supermercato: in tuta e sneakers.

Il superpotere di Berlino: l’invisibilità

Durante i miei primi soggiorni a Berlino, ero letteralmente estasiato dall’incuranza e dal menefreghismo generale. Passare inosservato è una delle mie ambizioni, ma poi mi rendevo conto ch’ero il solo, su un tram o sulla U-Bahn, a scrutare divertito personaggi che sembravano essersi fatti esplodere l’armadio addosso, o un uomo di mezza età sfoggiare con disinvoltura una gonna pantalone a fiori. Pur apprezzando la teutonica riservatezza – o scarso interesse che sia – mi chiedo se resterei della stessa idea in un’eventuale situazione di emergenza, tipo un malore o un’aggressione. Per fortuna non ho mai sciolto tale dubbio. Aggiungo che, nella “impicciona” Italia, si apprende di episodi di violenza degenerati tra l’indifferenza generale.

Apparenze e sostanza

Davvero a Berlino si è o si diventa invisibili? In occasione del recente viaggio, sui mezzi pubblici, mi sono reso conto di non avere suscitato particolare attenzione per via della mia attuale condizione fisica, conseguenza di una malattia. Solo un bambino di 4 o 5 anni mi ha osservato con candida e smaliziata insistenza, prima che la madre lo redarguisse per la troppa invadenza.
Tuttavia, a Schönefeld, mentre ero accodato in una lunghissima fila ai controlli, è inaspettatamente giunto alle mie spalle un addetto alla sicurezza che mi ha accompagnato a un gate preferenziale.
In Italia sono quotidianamente destinatario di sguardi interrogativi o compassionevoli, ma difficilmente capita, sull’autobus, che qualcuno mi offra il suo posto a sedere.

Plattenbau BERLINESE SENZA CERTIFICAZIONE E PASSAPORTO

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