UN AMORE DIFFICILE DA SPIEGARE

«Ma a te, esattamente, cosa piace di Berlino?»
Questa domanda mi giunge mentre la U1 scorre lungo la sopraelevata e sull’Oberbaumbrücke, verso il capolinea. Il quesito riecheggia tra le pareti e le vetrate della stazione U-Bahn di Warschauer Straße, uno dei luoghi a cui più sono legato emotivamente. Tuttavia non basta, da solo, a dare senso a un amore così forte, così difficile da spiegare. Ricordo la mia prima volta sulla lunga passerella sopra l’attigua e omonima stazione della S-Bahn. Un’attraversata a sottozero, sospeso sui binari e schiaffeggiato con violenza dal tagliente vento dell’est; pungolato dagli effluvi dei curry wurstel e dei kebap sfrigolanti sulle piastre dei chioschi ai lati.



Linea di confine

Da qualche anno, purtroppo, un moderno atrio sovrasta e occulta quella che era una decadente e suggestiva piattaforma. Convogliava il traffico umano sul Warschauer Brücke, il ponte ferroviario che divide Friedrichshain dall’Oberbaumbrücke. Sulla sua sommità scivolano con regolarità i vecchi treni giallo oro delle due più antiche linee della U-bahn, da e verso Kreuzberg. In mezzo si trova l’iconica East Side Gallery, il più lungo tratto di Muro preservato.
Il museo ebraico di Kreuzberg
Non è la prima volta che mi sento rivolgere questo interrogativo, ma ancora una volta fatico a trovare le giuste parole per dare corpo a una risposta che ne restituisca i giusti valori e significato. Eppure, dal giorno prima, un sentimento greve e malmostoso mi attanaglia il cuore. Ero uscito dal Jüdisches Museum sulla Lindenstraße stordito dall’opprimente senso di orrore e miseria che le (imperdibili) installazioni trasmettono. Cemento grigio, buio, verticalismi, inclinazioni scomode e angoli ciechi; crudeltà, disagio, odio e assurdità. Pannelli e teche rivelano storie e volti che appartengono al passato, a una memoria sempre più impalpabile e volatile. Ho camminato sopra il tappeto di volti in acciaio dello Shalechet, con il sottofondo del frastuono generato dal calpestio, mio e degli altri visitatori, su quelle maschere raffiguranti lo smarrimento e il dolore.

Ombre ingombranti
Sono stati proprio l’angoscia e il dolore a lasciarmi un senso di vuoto e rifiuto che non ricordo di aver provato neppure al campo di Sachsenhausen. Uscito dall’edificio dove ha sede il memoriale, ho avvertito un forte senso di distacco, quasi di rifiuto per la mia amata Berlino. Questo amore riconosco essere nato, e dipendere, dalle pesanti pagine circa la più significativa e orripilante tragedia del secolo scorso. Pensando a ciò mi sento un po’ in colpa e mi chiedo: ha senso che io, solo qui, mi senta davvero a casa? Perché ho trovato la mia dimensione ideale in questa città, non certo seducente come altre metropoli? Perché proprio qui, dove ogni angolo ne ricorda la rabbrividente funzione di mattatoio e di teatro dell’orrore?
Partenze e ritorni
La mia relazione con Berlino nel tempo si è rafforzata e consolidata, ma è ancora pervasa da una passione talmente irrazionale da generare momenti di crisi e passaggi a vuoto. Il ritorno in Italia dai primi viaggi era sempre traumatico; sin dall’arrivo, iniziavo il doloroso conto alla rovescia verso l’inevitabile distacco. Il rientro alla quotidianità comportava un impatto brusco e violento. Poi, dopo anni di “pianti”, ho capito che Berlino sarebbe rimasta sempre dov’era, anche per me. Soprattutto, presi coscienza che non si trattava di una sciocca e dissennata infatuazione. A un certo punto mi fu anche chiaro che la vita e gli affetti importanti che mi legavano a Roma, come pure la sua bellezza e il clima mite, non bastavano più. Il richiamo della capitale tedesca era una vampa incendiaria, alimentata da una forza a me ignota e metafisica, forse atavica.
Cuore e testa

Mentre camminiamo verso la Simon-Dach-Straße, provo senza troppo successo a fornire una risposta sorretta da un minimo di logica. Ma l’amore è davvero difficile da spiegare e motivare attraverso concetti partoriti dalla lucidità e dal raziocinio. A Berlino tutto pare parlarmi e volermi comunicare qualcosa. Dall’odore del linoleum nei Plattenbauten a quello del legno invecchiato nei vecchi edifici. Persino la puzza di urine e la sporcizia in alcune strade, e alcune piccole e languide foglie sparse sul ciottolato.
L’odore di Berlino sa di memoria e di passato. È una fragranza che mi smuove e sollecita gli angoli più bui della mente, a volte accarezzandoli, altre sferrando loro con forza veri e propri colpi bassi.
Voltare pagina
La domanda di apertura proviene dall’amico che da sempre mi ospita a Friedrichshain: il cupido che ha scoccato il dardo d’amore per Berlino. La sua scelta di abbandonare l’Italia era stata dettata dal pragmatismo tipico dell’istinto di sopravvivenza. Lasciarsi alle spalle persone e circostanze si era rivelato necessario; nulla di ciò che lo legava alla sua città natale, potevano alleviare il peso certe noie. Ha deciso di trasferirsi in Spagna entro massimo un paio d’anni; il clima poco clemente e la scarsa luce di inverni sempre troppo lunghi lo hanno ormai sfiancato. Quando lo stoppino è consumato, la candela si spegne e bisogna cercare la luce altrove..
Opposti
Dall’appena concluso soggiorno di circa 2 settimane, ho tratto la consapevolezza che la mia “ossessione” per Berlino è di certo fondata sulla sua densa e sofferta storia. Se qui non avessero avuto luogo i noti eventi, il mio cuore palpiterebbe altrove. È altrettanto vero che il bianco e il grigio hanno bisogno del nero, che il giorno necessita della notte e il sollievo della sete.
Ramingo
Anche questa volta ha prevalso il sempre troppo esiguo rapporto tra tempo e azione. Per quanto pianifichi e programmi, finisco inevitabilmente a vivermi la città nell’unica modalità di cui, credo, sono capace. Con la sensazione di non avere fatto e visto abbastanza. L’estate dello scorso anno a causa di una piccola disavventura dovetti rinunciare a ogni itinerario, ma a questo giro non ho avuto alcun alibi. Posso godere di Berlino solo percorrendola in lungo e in largo, come un animale selvatico. Perlustro il territorio alla ricerca di nuove tane, di ideali habitat dove assaporare l’inedito, eppure familiare, sapore di appartenenza. Fino a gonfiarmi i piedi e consumare le suole, su e giù dai mezzi in modalità random, semplicemente attratto dai titoli delle stazioni.
«Berlino non mi è piaciuta per niente: non ci vivrei mai!»
Credo che ogni angolo di questo pianeta possegga un’anima. Berlino sfoggia e rivela più anime, in quantità direttamente proporzionale al desiderio e alla curiosità individuali. Per questo non mi piace e non mi fido di chi si cristallizza su un giudizio netto e sprezzante, basato esclusivamente sulle proprie capacità di adattamento. Specialmente a Berlino, luogo che più di altri insegna che mai nulla è scontato. E che “FINE” è solo una parola.