RITORNO A BERLINO

Ritorno a Berlino di Vera B. Carleton

Il libro di cui scrivo in questo post rappresenta a tutti gli effetti un caso editoriale. Uno di quelli che può infondere speranza e fiducia a chi nutre la passione per la scrittura e, magari, ha un’opera nel cassetto o addirittura pubblicata senza riscontri.
Si tratta di Ritorno a Berlino di Verna B. Carleton (titolo originale Back to Berlin. An Exile Returns), pubblicato originariamente nel 1959 negli USA e nel 1962 in Germania.
Un libro quasi dimenticato
La Aufbau Verlage, storica casa editrice fondata nella DDR del dopoguerra, specializzata nel recupero della letteratura tedesca censurata sotto il nazismo, qualche anno fa ha riscoperto questo romanzo, acquistandone i diritti dalla figlia dell’autrice. La Carlton era purtroppo deceduta prematuramente nel 1967 e il suo Ritorno a Berlino sembrava ormai destinato all’oblio. Invece, la Aufbau Verlage non solo ha recuperato il titolo a cinquant’anni dalla scomparsa dell’autrice, ma l’ha spinto e sostenuto affinché fosse tradotto in più lingue e pubblicato in diversi paesi.





L’autrice
Verna B. Carleton è stata una giornalista statunitense di origine anglo-tedesca. Venne abbandonata dal padre (tedesco) in tenera età e crebbe a New York insieme alla madre. Si sposò giovanissima con un medico messicano (Frida Kahlo e Diego Rivera i testimoni di nozze) e scrisse per importanti periodici come The New Yorker e The Saturday Evening Post. Ripudiò il cognome del padre (Von Kessler) firmandosi prima solo con quello materno (Breed). Ispirata dal nome di un elegante hotel newyorchese, adottò lo pseudonimo definitivo.
Sinopsi
Ritorno a Berlino racconta un viaggio e un soggiorno della scrittrice nella Berlino del dopoguerra.
Sono trascorsi poco più di dieci anni dalla conclusione del conflitto mondiale, e l’autrice accompagna una coppia di amici nella metropoli tedesca. Il Muro fisico ancora non esiste, ma Berlino è già stata ripartita tra gli alleati e, di fatto, divisa in due. Uno dei due amici è un uomo tedesco naturalizzato britannico che rinnega e nasconde le proprie origini. Tuttavia, i fantasmi del suo passato di fuggitivo gli impongono di tornare per affrontarli.
La “questione morale”
La spaccatura ideologica tra le forze alleate che avevano sconfitto Hitler e liberato la nazione, creò a sua volta due Berlino e due Germanie. Ma non furono solo le macerie il terreno di condivisione tra tedeschi dell’est e dell’ovest: fu soprattutto la cosiddetta questione morale.
Il popolo tedesco, al termine del conflitto che li aveva visti sconfitti su tutti i fronti, si era ritrovato solo e abbandonato in un paese raso al suolo, conquistato e spartito tra i vittoriosi.
Da una parte, gli alleati occidentali lo biasimava per non essersi opposto e aver lottato abbastanza contro il regime, di non aver cercato di impedire le persecuzioni che portarono al genocidio della popolazione ebraica.
Dall’altra, Mosca era determinata o osteggiare il modello capitalista dei nemici occidentali, definendolo immorale, nonché il temibile preludio a un’ulteriore deriva fascista.
Erano credibili o giustificabili le loro dichiarazioni di inconsapevolezza, oppure prevalsero l’ignavia e il populismo fomentato da un pazzo fanatico e dai suoi adepti?
Nessuna sentenza
È maggiormente condannabile l’omertà e il collaborazionismo di chi è restato, o il rifiuto di chi è fuggito senza lottare? Il romanzo pone indirettamente questa domanda, senza pretesa alcuna di fornire una risposta.
In Ritorno a Berlino non vi è giudizio alcuno da parte dell’autrice, per quanto ella fosse, date le sue origini, sensibile al tema.
La Carlton non cerca alibi né emette verdetti; anzi, nella breve prefazione, rivendica le intenzioni come semplice cronista, da testimone del doloroso viaggio emotivo del suo amico.
Questo memoir documenta e mostra il nervo scoperto di contraddizioni e contrapposizioni tipiche dell’essere umano. Attribuire responsabilità basandosi su assurde motivazioni etniche o genetiche è l’errore che in tanti ancora oggi commettono. Lo stesso che, in fondo, fu alla radice della raggelante “soluzione finale“.

Cliché
Leggendo Ritorno a Berlino, ho ricordato una scena emblematica (e molto divertente) del film “L’appartamento spagnolo“. Una tra i protagonisti, la studentessa inglese, riceve la visita di suo fratello, un tipo simpatico, ma fin troppo esuberante e spontaneo. Costui osserva la stanza condivisa dallo studente tedesco e da quello italiano, e commenta divertito l’evidente contrasto tra il caos totale in un angolo della camera, e l’ordine metodico nell’altro.
Disordine, anarchia, pizza e mandolini versus rigore, disciplina, birra e crauti.
Il ragazzo, pensando di essere divertente, mima il passo marziale e il saluto nazista davanti all’attonito inquilino tedesco, che ovviamente riporta l’episodio e le lamentele del caso all’ignara sorella dell’inopportuno ospite.
Pregiudizi e taboo
Qualsiasi stigmatizzazione che abbia origini da valutazioni di tipo etnico-culturale è un processo deprecabile e, ahimè, fin troppo frequente e ricorrente nella storia.
Se si pensa all’attuale conflitto in corso, è sconfortante l’attitudine di molti nel sovrapporre un dittatore con il popolo ch’egli rappresenterebbe. In questo la stampa, o meglio parte di essa, ha molte responsabilità.
O anche ai pregiudizi e alle generalizzazioni di cui siamo vittime noi italiani.
Per queste ragioni, trovo fuori luogo l’efferatezza di concetti assurdi come quello del possibile imprinting genetico di un popolo, naturalmente sedotto dal rigore e da forze coercitive. Consiglio la lettura di Ritorno a Berlino, non solo per lo stile narrativo classico ed elegante, pulito e senza fronzoli della sfortunata autrice, ma anche per l’affascinante spaccato, genuino e fedele, di una città e un popolo divisi, ancora intenti a leccarsi le ferite post-belliche e a crogiolarsi tra sensi di colpa e vergogna.
Un libro che facilita la comprensione di ferite insanabili e di tabù mai del tutto superati.

