PROBLEMI DI COMUNICAZIONE

PROBLEMI DI COMUNICAZIONE

Berlino: passione od ossessione?

I contenuti di questo blog sono spesso piuttosto seri, a volte perfino pesanti. Da appassionato di storia berlinese, i temi trattati più frequenti sono il nazismo, l’Olocausto, le guerre mondiali, la guerra fredda, il Muro, la Stasi.
In fondo sono tematiche imprescindibili da una città che, essendone stata teatro e vittima, ne porta ancora i segni.
Per alleggerire un po’, mi è sovvenuta una domanda che mi è stata più volte posta. Specie da quelle persone che credo non comprendano del tutto questa mia passione, magari ritenendola – non a torto – un’ossessione. La domanda è: “C’è qualcosa di Berlino che non ti piace?“.
Fatico sempre nel dare una risposta che sia netta e pertinente. Volente o nolente finisco puntualmente con il tesserne le lodi. Naturalmente riconosco che esistano degli aspetti di Berlino non propriamente positivi, ma li ritengo imperfezioni trascurabili, piccole smagliature su un corpo che nel complesso trovo entusiasmante.
Oggi, però, risponderò raccontando un paio di aneddoti in cui ho provato un profondo disagio, a causa dei cosiddetti problemi di comunicazione. Tenendo conto che quanto segue non è da prendere troppo sul serio. (Finalmente!).

Wie Schwer! Che pesante! (Questi tedeschi)

Alcuni miei amici italiani che vivono a Berlino da molto tempo sostengono che molti berlinesi/tedeschi sono troppo seri, rigorosi e inflessibili, al punto di risultare persino un po’ stupidi.
Io non ho intenzione di avvalorare questa tesi, perché le mie statistiche lasciano il tempo che trovano e si basano su un campione di vissuto troppo esiguo.
Tuttavia, uno dei motivi per cui da un anno e poco più mi sono messo a studiare il tedesco (‘na faticaccia!), è il voler eliminare o almeno arginare certe dinamiche che si attivano con una certa frequenza, anche a causa del mio non capire una parola – a parte ja, nein, Zimmer e Kartoffel – di questo non facile idioma. Naturalmente non è colpa di nessuno se non parlo il tedesco; anzi di questo la responsabilità è solo mia, per averlo ignorato troppo a lungo. Però, i due episodi che mi accingo a raccontare, riguardano l’interazione con autoctoni che non parlavano – o non si sforzavano di parlare – nemmeno mezza parola d’inglese.

Problemi di comunicazione

Al Lotto

Avevo giocato a una specie di superenalotto tedesco e caso ha voluto che fossero usciti dei numeri. Si trattava di una vincita irrisoria, inferiore ai 10 €. Decido comunque di andare a riscuotere la ricca somma, con l’intenzione di dilapidarla con una decente bottiglia di vino per la cena.
Da solo, senza il supporto da interprete del mio amico ospitante, mi reco alla ricevitoria, confidando di potermela cavare. Mentre attendevo disciplinatamente il mio turno, scrutavo la ragazza al banco. Aria un po’ austera (forse per via dei suoi occhiali alla Fräulein Rottenmeier), ma abbastanza giovane da sperare che masticasse un po’ di inglese scolastico. Giunto il mio momento, le ho porto la ricevuta della giocata e sorridente le ho detto:
Hallo! Sorry for not speaking German! I’d like to cash in this small winnings…“.

Problemi di comunicazione

Ich spreche kein Deutsch

La sua prima risposta è stata un’occhiata pregna dell’espressività tipica di chi ha davanti un contatore della luce, quindi ha iniziato ad articolare un discorso lungo una quaresima, in rigoroso tedesco.
Nel centro di un ampio cerchio formato da enormi punti interrogativi, le ho risposto con un sorriso dolce (nelle intenzioni, almeno) e un po’ imbarazzato. Quindi, scusandomi nuovamente per il mio non parlare tedesco, le ho chiesto in inglese se fosse possibile, di esprimerci nella lingua di Albione.
Nel suo sguardo ho scorto lo scintillio della perfidia tipico di Iriza Legan, potenziato dalla rifrazione delle lenti da vista. A quel punto, visibilmente seccata mi ha risposto nuovamente in tedesco. Forse, mi dicevo, io non riesco a comunicare con questa addetta. Quando si dice l’essere intuitivi…

Sbrocco totale

Ero consapevole del fatto di essere in una zona a bassa concentrazione di turisti. Ci stava che la scorbutica quattrocchi non spiccicasse mezza parola d’inglese. Però quella sua spocchia urticante mi fece inalberare “lievemente”. Sentendomi ancor più inadeguato, ho iniziato a sbraitare ad alta voce, sempre in English, obviously! Con lo sguardo rivolto al soffitto, nello sconcerto generale di una manciata di local dall’aria apatica e assente ho gridato:

WTF?
It’s more than clear that I can’t understand German!
So why she’s still talking German to me?

Un ragazzo alle mie spalle, vagamente divertito dalla scenata, si offrì spontaneamente come interprete, e mi tradusse per sommi capi quanto favellato da Fräulein Sympathie. Ormai io ormai ero completamente fuori di me per cui, sfoggiando la fiera e tipica gestualità da echter Italianer, le mimai di sganciare la pecunia. Ho afferrato la banconota da 5 € e alcune monete che la tizia stizzita mi avrebbe volentieri scagliato in faccia piuttosto che sul banco. Infine, ho ringraziato il pubblico, il cortese traduttore e sono uscito dal negozio ad ampie falcate, con l’aria sprezzante e il culo alto.
Con il malloppo sono entrato nel supermercato attiguo e ho acquistato un pacchetto di sigarette: fortuna ha voluto che la cassiera abbia guardato il pacchetto da me indicato e non il dito.

(Per la cronaca: die Meisterin von Liebenswürdigkeit – la campionessa di gentilezza – voleva sapere se intendessi ripetere la giocata con l’importo vinto).

Problemi di comunicazione

La signora ben pettinata e l’evasore involontario

Era l’alba di un giorno di partenza: dovevo tornare a Roma, e già per questo motivo mi giravano abbastanza i cosiddetti. Ad Alexanderplatz, salii trafelato sul treno regionale per l’aeroporto di Schönefeld, dopo aver quasi rischiato di perderlo. Ero sprovvisto di biglietto.
Premessa: usufruire dei mezzi pubblici senza pagare il dovuto è sempre sbagliato e disonesto, in ogni dove e a qualsiasi latitudine. Ma è bene sapere che farsi pizzicare senza biglietto sulla U-Bahn o sulla S-Bahn a Berlino, comporta uno di quei traumi che genereranno ripetuti incubi negli anni a venire. Perlomeno questa è la convinzione che ho sviluppato come semplice spettatore di più episodi.

La sagra della vergogna

A Berlino, i controllori, di solito irrompono in tre o in quattro. Il loro aspetto non è quasi mai particolarmente conciliante e paventano l’espressività e la seraficità tipiche di Ivan Drago.
Una volta beccato il trasgressore, lo accerchiano e cominciano a prendere i suoi dati nel silenzio generale. Se lo sdegno fosse un gas, la carrozza salterebbe in aria al primo starnuto. I berlinesi che fino a quel momento stavano amabilmente chiacchierando si tacciono; quelli immersi in un libro o chini sul telefonino, alzano la testa per scrutare la scena e il colpevole. Iniziano a destinare allo sciagurato di turno uno sguardo inquisitorio. Sui loro volti è ben leggibile lo stesso disprezzo che di norma si riserva ai peggiori criminali di guerra. Più di ogni altra cosa, è solido e palpabile il desiderio collettivo che i controllori indossino il cappuccio nero. Che al centro della carrozza, si materializzino il patibolo e la tagliola.

Mondi opposti

La stessa situazione a Roma, di norma, comporta appena un blando senso di vergogna. Al massimo qualche sorrisetto a mo’ di sfottò e un’ideale pacca sulla spalla, come a dire “te sei fatto pizzica’, cojone!”.
Inoltre, è abbastanza diffusa una certa strafottenza alla “ao’, ‘sto servizzio fa schifo e quindi io nun pago!”.
Devo ammettere che pure io, le poche volte che a Roma ho preso un autobus senza biglietto, non sono stato nemmeno sfiorato dal senso di colpa. Anche perché era una possibilità tutt’altro che remota quella di non trovare rivendite di biglietti, e che le emettitrici automatiche fossero assenti o fuori servizio.
Tra l’altro mi è capitato anche di assistere a situazioni con addetti ai controlli giovani e garbati, vittime di improperi e atteggiamenti intimidatori da parte di bulli potenzialmente violenti e pericolosi.
Quanto avrei voluti vederli alle prese con i “i rottweiler” della BVG!

A Roma, inoltre, la multa si può tentare di non pagarla. Come si suol dire “ce provi e se te dice culo, la sfanghi!”.
A Berlino e in Germania, invece, non si scherza. Se poi si è recidivi si finisce dentro: non ricordo se alla o dopo la terza volta. I viaggiatori a sbafo commettono un reato che in Germania è a tutti gli effetti considerato (perché tale è) un danno inferto a tutta la collettività. Esattamente al pari di coloro che non pagano le tasse.
In Italia tutto questo suonerebbe eccessivo. Del resto c’è ancora chi vota colui che è reputato tra i più grandi – se non il numero uno – evasori fiscali della storia. Ma torno al mio aneddoto.

Circostanze sfavorevoli

Il disguido fu inatteso, in una città (e paese) notoriamente simbolo di ordine ed efficienza. Dovevo assolutamente salire su quel treno: l’ultimo utile per non perdere il volo. Purtroppo, non mi ero procurato, com’è consigliabile, il biglietto il giorno prima. Ho dovuto ricorrere alle macchine automatiche. La biglietteria, a quell’ora, era ancora chiusa. Purtroppo, delle due macchine presenti, una era fuori servizio e c’erano alcune persone in coda.

Ho atteso in fila, preda di un’indicibile agitazione, mentre tra me e me facevo l’appello dei santi e delle madonne. Le ultime due persone furono particolarmente lente; giunto il mio momento, avevo a disposizione due o tre minuti. Il mio treno stava per fermarsi sul binario proprio in quell’istante. Non avevo contante e, per ragioni tuttora incomprensibili, ancora una volta, mi sono visto rifiutare tutte le carte. Del (non solo) mio rapporto conflittuale con le emettitrici automatiche, rimando qui oppure al link a fine post.

Panico

A quel punto non c’era più tempo, e mi sono dovuto fiondare su per la scala mobile con lo zaino stracolmo e una valigia bella pesante. Per un soffio non persi il treno, ma ero completamente sudato e in affanno, con il battito cardiaco a mille. Già tarato sullo stato d’ansia generato dall’idea di affrontare l’inflessibile Fahrkartenkontrolleur. Dopo aver preso posto, ho cominciato a inspirare ed espirare profondamente, nell’attesa di una sentenza già certa. Non mi preoccupava la multa, bensì il pubblico ludibrio, con tanto si cappio e cartello al collo.
Nel mentre pregavo St. Christoph (il santo patrono dei ferrovieri) che il controllore, almeno, parlasse inglese, per poter fornire le motivazioni del caso. Dopo un po’, vidi avanzare dal fondo una signora dall’aspetto rubicondo, con una piega perfetta e impeccabile nella divisa della DB ben stirata. Sarà stata sulla sessantina, per cui convenni che la mia supplica era rimasta inascoltata. Anche in Germania, più si alza l’età, più si abbassano le probabilità che le persone parlino altre lingue. Mi confortava, tuttavia, vederla ancheggiare con grazia tra i sedili mentre elargiva sorrisi e i suoi Danke e Bitte ai passeggeri che le mostravano i biglietti.


Arrivata a me, ero pressoché in apnea: avevo conservato giusto la quantità minima di ossigeno per buttarle lì un sommesso e speranzoso “Excuse me, do you speak English?“.
Lì, ho assistito allo spegnimento immediato del suo radioso sorriso, e contestualmente mi è giunto, secco e marziale, il suo responso: Nein. Deutsch.“.

Bandiera bianca

A quel punto mi sono arreso e le ho sventolato il mio documento a mo’ di bandiera bianca. “Tenga. Mi schedi, verbalizzi e butti via la chiave! “. Lei ha preso ed esaminato la mia carta d’identità, tenendola in bilico per un angolo tra pollice e indice come se fosse un paio di mutande sporche. Poi, me l’ha riconsegnata bruscamente e, senza dire alcunché, si è letteralmente dileguata.

15 minuti di panico

Mancava circa un quarto d’ora all’arrivo a Schönefeld. Attendevo l’esecuzione completamente madido, sopraffatto dalla vergogna, e con le eco martellanti di molteplici Du Spaghettifresser! nella testa. Sobbalzavo al minimo sentore di movimenti, in preda al terrore del certo ritorno di Frau Nein Deutsch con il boia. Oppure, l’eventualità di trovare i poliziotti con i cani in mia attesa sul binario. Ero pressoché certo che avrei perso il volo e non mi avrebbero nemmeno concesso l’estradizione. Tutto questo per i dannati problemi di comunicazione. O meglio, per il mio non essermi mai sforzato di imparare qualche termine di tedesco.
Per fortuna, non accadde nulla di tutto ciò. Ancora oggi ringrazio quella signora ben pettinata per avermi concesso la grazia. Forse mi aveva dimenticato, oppure era troppo intenta a controllare la piega e l’uniforme perfettamente stirata.

Certo è che avrei preferito risparmiarmi tutta quella angoscia piuttosto che i 4 € scarsi del biglietto.

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