LA STAR DELLA DROGA

La ricaduta
Qualche anno fa, mi trovavo sull’ M5 in direzione Alexanderplatz. Era una tarda mattinata d’inverno e di fronte a me era seduta una distinta coppia di mezz’età. La donna aveva una copia del Berliner Zeitung appoggiata sulle gambe. L’aveva piegata lasciando visibile una delle pagine interne. Scorsi un trafiletto con la foto di un volto molto noto e legato a Berlino. Conoscendo a malapena quattro parole di tedesco, non riuscii a decodificare la notizia, ma lessi qualcosa tipo “Droge” e “Star”. Rientrato nella casa dov’ero ospite, ne parlai con il mio amico, il quale commentò secco: “L’avranno ripizzicata con la droga e risbattuta dentro…”. Si riferiva a Christiane Vera Felscherinow, la famosa adolescente dello zoo di Berlino. Rimasi interdetto e gli chiesi delucidazioni in merito, perché ero convinto che Christiane F. fosse uscita dalla tossicodipendenza. Perlomeno la sua celebre autobiografia – e il film che ne fu tratto – lasciavano intendere questo. In particolar modo, il finale del libro raccontava il ritorno al paese di provincia dov’era cresciuta. La madre l’aveva costrinse a trasferirsi a casa della nonna, perché lì era al riparo da possibili tentazioni e ricadute.
Un’icona berlinese
Appresi che, nonostante la fama e il denaro ottenuti grazie al libro e al film, la sua vita non era stata propriamente rose e fiori. Periodicamente era ricaduta nel tunnel, era stata più volte arrestata e, in tempi più recenti, le avevano sottratto il figlio.
Tali voci ebbero conferma dopo una rapida consultazione in rete, dove scoprii anche alcuni blog e siti a lei dedicati.
La storia di Christiane ha segnato un’epoca, al punto da trascinare la sua “leggenda” per 40 anni, fino ai giorni nostri. Una vera e propria star dell’eroina. Con la traduzione automatica di un forum, ho letto il topic di un tizio che, eccitato, raccontava di averla incontrata con il suo cane a Kotti. Seguivano domande, illazioni e sentenze di altri utenti circa le possibili motivazioni che l’avevano portata a bazzicare quello che è, insieme al vicino Görlitzer Park, uno dei principali crocevia dello spaccio a Berlino. Qualcun altro riportava di essere stato preso a maleparole da Christiane, “solo” per averla avvicinata e rivolto la parola. Tra chi si chiedeva se stesse cercando o spacciando, spiccavano giudizi affilati e taglienti:
“Avrà sperperato tutte le sue fortune quella tossica!”
“Per fortuna che le hanno tolto quel povero bambino! “

«La mia seconda vita» di Christiane Von Felscherinow e Sonja Vukovic
Nel 2013, il volto di Christiane ormai cinquantenne, un po’ provata ma sorridente, faceva capolino sulle homepage di diverse testate web italiane. Era imminente la pubblicazione del suo secondo libro, “La mia seconda vita“, anche questo scritto con l’ausilio di una giornalista, che si prefiggeva lo scopo di chiarire le troppe chiacchiere che erano circolate sul proprio conto.
In molti pensarono a una mera operazione commerciale, al disperato tentativo di tirare su un altro po’ di denaro. Qualcuno commentava asserendo non si sarebbe fatto spillare 15 o 20 euro. Non per leggere le bugie di una drogata che sta a ròta, rendendosi corresponsabile della sua reiterata dipendenza.
Ancora una volta rimasi colpito dalla veemenza con cui in tanti stilettavano verdetti così secchi e inappellabili.

Nessuno sconto
“La mia seconda vita” mi ha colpito per la sua schietta onestà. Non è ravvisabile alcuna ambizione di riscatto personale o un tentativo di pulizia d’immagine. L’ex adolescente che si prostituiva allo Zoo Bahnhof racconta ancor più nel dettaglio, senza apparenti censure, le vicende che la fecero balzare agli onori delle cronache. Tuttavia, punta il dito contro un certo tipo di narrazione distante dalla verità, per la necessità di renderle più vendibilie ai lettori.
Non ridimensiona i crudi avvenimenti esposti nel primo libro, ma esercita un forte senso autocritico riconoscendo i propri, tanti errori. Come l’aver dipinto negativamente le figure dei suoi genitori, in particolare quella del padre, imputando loro ogni responsabilità. Non li scagiona, ma nemmeno vuole passare per vittima degli eventi e di un padre e una madre distratti e assenti.
Un’altra vita
Ciò che emerge da questo sequel è il suo desiderio irrealizzabile di condurre una vita comune, protetta dall’anonimato. Quantomeno di non essere più considerata una “star del buco”, di non trovare più giornalisti e fotografi appostati sotto casa. E nemmeno di essere avvicinata con morbosità da estranei che le chiedono una foto insieme o pongono domande sciocche, come “Dov’è Detlef?”.
“Ho cinquantun anni, porca puttana! In quanti, alla mia età, sanno che fine ha fatto il loro primo amore?”.
La diffidenza per il mondo
Christiane racconta anche la consapevolezza di aver sviluppato un disturbo della personalità fortemente paranoide. L’idea del secondo libro è nata grazie alla fiducia instauratasi con Sonja Vukovic, una giovane giornalista tirocinante. Un giorno Sonja le aveva citofonato per chiederle timidamente un’intervista. Christiane aveva risposto ancora assonnata, che quello non era un buon momento, e la invitò a lasciare un biglietto da visita nella cassetta delle lettere. Sonja lo fece, senza salire fino al suo pianerottolo, come facevano praticamente tutti. Reporter invadenti che importunavano i vicini con domande tipo:
“Com’è vivere sotto lo stesso tetto della star della droga più famosa del mondo?”.
Christiane oggi
Grazie alla fiducia conquistata da Sonja, l’idea di un semplice articolo si sviluppò fino a prendere la forma di un libro. Chi è diventata l’adolescente tenera, fragile e sognatrice che si prostituiva alla stazione Zoo Bahnhof?
Al termine della lettura, la mia impressione è quella di una donna adulta, ovviamente scafata. Ma più di tutto, sorprendentemente arguta e schietta; lo spinto e romantico idealismo è stato rimpiazzato da un crudo e amaro nichilismo. Questo percorso impervio di sofferenza – per sua stessa ammissione, anche autoinferta – è svelato attraverso tappe ed esperienze che hanno dell’eccezionale e dell’incredibile. A partire dalle frequentazioni nel jet set, agli approcci sfortunati alla musica e al cinema, dal periodo a Zurigo, a quello su un’isola della Grecia. Una vita piena e sentimentalmente travagliata, arricchita dalla maternità, ma anche devastata da altre le ricadute, fino alla perdita, per un paio d’anni, della custodia del figlio, oggi adulto.
Non aggiungo altri dettagli perché, a mio avviso, “La mia seconda vita” merita di essere letto. Per le ragioni già esposte sopra e anche per l’intensità di pagine pregne di dolore e umanità profonda. Di cinismo, sarcasmo, ma soprattutto onestà. Nessun sguaiato scopo di autoassoluzione: l’analisi che Christiane fa di sé è dritta, rigorosa, sincera.
Se mai dovessi incontrarla, mi limiterò a un sorriso e a un cenno di saluto a distanza.