LA MALEDIZIONE DEL DUCA BIANCO

LA MALEDIZIONE DEL DUCA BIANCO
La maledizione del Duca Bianco David Bowie

La maledizione del Duca Bianco

Chissà se il tribolato viaggio su rotaia del sospirato ritorno a Berlino ha voluto fungere da monito. In ogni modo, io, incurante di quanto accaduto e carico di entusiasmo, ho subito iniziato a progettare le giornate a venire.
Del tutto ignaro della maledizione che il Duca Bianco mi aveva lanciato.
L’appartamento messomi a disposizione è carino, raccolto, confortevole e silenzioso. Ha gli affacci su un Hof interno dove, ora una coppia, ora un gruppetto di ragazzi fumano o parlottano intorno a una scorticata panchina di legno.

Un ritorno

Mi trovavo sulla stessa via, a poche decine di metri, dell’edificio che mi aveva ospitato durante il mio primo lungo soggiorno a Berlino, nel 2006.
La zona è Samariterviertel, nel distretto di Friedrichshain, ex quartiere di Berlino Est che non è difficile immaginare in origine grigio e desolato. Da anni è stato annesso, in un unico Bezirk, a quello di Kreuzberg, il quartiere turco, un tempo nel settore americano di Berlino Ovest. Nel 2006, il processo di rivalutazione dei quartieri orientali era più circoscritta sul non distante circondario compreso tra Warschauer Straße, Simon-Dach-Straße e Boxenhaneger Platz. Mentre in queste strade e piazze già imperversavano i primi bar e locali che animavano la vita notturna della città, questo piccolo rione sulla Frankfurter Allee appariva ancora anestetizzato dal suo tormentato passato. A parte qualche sparuto Späti e un paio di vecchie birrerie in cui il tempo sembrava essersi fermato ad almeno due decenni prima, c’era ben poco. Uscendo dalla stazione U-Bahn di Samaritarstraße ho percepito all’istante l’avvenuta trasformazione. Un frenetico viavai di persone e tanti nuovi negozi, bar e ristoranti. Un vocio animato, la musica in strada e dai locali, e le immancabili opere di street art che hanno dato nuova luce, colore e vita alle strade un tempo deserte e spente. La via del mio alloggio è molto tranquilla, piena di alberi, con un ampio e riposante viale al centro della carreggiata.

La chiesa dei ribelli

Uscendo dal condominio, vedo spiccare a destra, sullo sfondo, il tetto a guglia della Samariterkirche, una chiesa dalla storia a dir poco affascinante. Fu infatti sede e teatro dei moti di ribellione contro il regime socialista, come accennato nel post su Bettina Wegner, la cantautrice scomoda della DDR.
Tuttavia, ripensando a tali trascorsi, non mi è riuscito di provare entusiasmo per il mutamento così radicale di questo piccolo quartiere. Ha perso molto del suo fascino e della sua autenticità, e non si differenzia granché dalle strade fulcro e crocevia della nightlife berlinese vicino a Frankfurter Tor.

Supermercati

Dopo avere declinato un invito a cena per via della stanchezza accumulata tra il lungo viaggio e la botta di adrenalina generata dall’arrivo, ho deciso di andare a fare un po’ di spesa. Si era ormai fatta una certa, e non mi allettava l’idea di andare a Ostbahnhof, dove sapevo un supermercato e un discount aperti fino a tardi eanche nei giorni festivi. Non volevo nemmeno ripiegare su un vicino e poco assortito Spätkauf.
Fortunatamente, da una ricerca in rete ho appreso che non distante, in Revaler Straße, da qualche tempo ha aperto un enorme Rewe aperto h 24 (importante: esclusi i weekend). Ho dunque raggiunto Frankfurter Tor con la U5 e lì sono salito sul tram M10 che mi ha portato lì davanti in appena due fermate.
Nonostante fosse martedì sera, le strade brulicavano di persone, perlopiù turisti, complici il bel tempo e il caldo.
I chioschi dei Kebap (qui si chiamano così, perché nella maggior parte dei casi gestiti da turchi) e altro street food erano assediati, e l’agognato supermarket ben gremito.
Procuratomi l’occorrente, sono rientrato velocemente, per sprofondare all’istante in un sonno ristoratore.

I confini della notte

Complici la quiete e la silenziosità del condominio, ho dormito meno di 6 ore, ma così beatamente da riaprire gli occhi ben prima dell’alba, con la città ancora avvolta nel buio.
Mi sono vestito e ho infilato le scarpe per una breve camminata nel quartiere. Appena uscito dal portone ho scorto un paio di anziani a passeggio con i cani e una ragazza che faceva jogging. In lontananza udivo grida e risate un po’ sconnesse, e una volta svoltato sulla Proskauer Straße ho visto un gruppetto di adolescenti che schiamazzavano in mezzo alla strada. Erano, naturalmente e come minimo, in preda ai fumi dell’alcol.
Berlino è anche questo.

Noi non ci ubriachiamo
“Noi non ci ubriachiamo, diventiamo solo meno eleganti e più divertenti”

Tornato in casa, ho sorseggiato un caffè mentre la stanza riprendeva lentamente vita, illuminata dai primi raggi di sole. Armato di cellulare, carta e penna ho iniziato a tracciare il programma del primo giorno, scegliendo tra le svariate opzioni che avevo annotato.
Sapevo che non mi sarei riuscito a soddisfarle tutte, per cui ho controllato le previsioni meteo. Vedendo che indicavano possibili piogge già a partire dall’indomani, ho deciso dare priorità a parchi e punti panoramici.
Il mio amico mi aveva accennato di un picco atipico di caldo, ma io, abituato all’afa soffocante di Bologna, non mi sono per nulla allarmato.

38 GRADI

Nemmeno nel capoluogo felsineo si era ancora raggiunta una temperatura del genere. Già alla prima tappa dell’itinerario, il Viktoriapark, ho cominciato ad accusare il colpo e ho indugiato lì a lungo, al riparo di grandi alberi secolari. Il parco merita proprio la visita: ho trovato imperdonabile che, in circa 20 anni di intensa frequentazione con la capitale tedesca, fossi lì per la prima volta. Oltre a me, pochissimi altri temerari. Le maestose cascate all’interno del parco erano inattive, a causa della siccità e dell’emergenza idrica. A un certo punto ero talmente rintronato dal caldo disumano che ho dimenticato il mio zaino su una panchina. Con all’interno denaro, documenti e carte. Fortunatamente me ne sono reso conto immediatamente e mi sono riprecipitato sul luogo, dove l’ho recuperato. A quel punto, svuotato di ogni energia dall’ansia, sudato fradicio e visibilmente affaticato, ho ritenuto impraticabile il proposito di raggiungere le altre tappe designate. Le colline di Teufelsberg e Drachenberg; forse anche il Tempelhofer Feld. Mete che oltre a richiedere cambi e tempi di viaggio consistenti, prevedevano lunghi tratti a piedi. Quindi, con lo smartphone, ho disegnato una nuova rotta alternativa.

Charlottenburg Schloss

Il castello (o meglio, la reggia) di Charlottenburg è realmente incantevole. Erano erano le prime ore del pomeriggio, e il sole aveva cominciato a picchiare ancora più forte. Ero ormai ridotto a un cencio gocciolante: le due bottiglie d’acqua che avevo avidamente tracannato avevano impregnato completamente la t-shirt e i pantaloncini che indossavo. Anche questo elegantissimo quartiere occidentale si presentava deserto, con l’eccezione di qualche turista impavido. La tentazione di tornare all’appartamento o a casa dei miei amici era fortissima, ma non sufficientemente da farmi deporre le armi e vanificare di fatto un’intera mezza giornata.

Schloss Charlottenburg Berlin

Haupstraße 155

Quindi ho deciso di raggiungere l’edificio dove, sul finire degli anni ’70, avevano abitato David Bowie e Iggy Pop, nel quartiere di Schöneberg. Mi sono sentito un po’ sciocco a volervi andare ancora una volta, o meglio: a tentare ancora di andarvi, memore di un trascorso a dir poco fallimentare. Per quanto sia un appassionato di Ziggy & Iggy, ho sempre ritenuto un po’ inquietante il tipico senso di culto che caratterizza e anima i cosiddetti fan. Specie se non si hanno più 15 anni.
I 20 minuti sotterranei sulla U7, necessari per raggiungere Kleistpark (la fermata apoche decine di metri dal “tempio” del Duca Bianco e dell’Iguana) rappresentano principalmente una breve tregua dall’afa incombente.
Durante il breve viaggio con la U-Bahn ho cercato di accumulare possibili energie per un’ulteriore tappa. Restando in ambito smaccatamente feticistico, ho pensato alla tomba di Marlene Dietrich, nel non distante quartiere di Friedenau. Anche in questo caso, attratto più dall’aria condizionata sulla metropolitana (che, a dire il vero, non era sempre funzionante) che dal fascino indubbio della leggenda del cinema.

u7 Berlino

Un quartiere anonimo

Prima di giungere al portone con la targa commemorativa a fianco, ho riconosciuto il piccolo bar accanto, dal sapore vintage, che i due amici musicisti erano soliti frequentare. Numerose loro foto sono esposte dentro ed esternamente. Di fianco c’era anche uno laboratorio di tatuaggi. Gli sguardi del tatuatore, seduto fuori a torso nudo prendere il sole, parevano dirmi “ecco il solito cretino fissato con Bowie”. Il circondario appare piuttosto anonimo e asfittico, intristito ulteriormente dall’esigua presenze umana, nonché dalle brutte transenne di plastica dell’ennesimo cantiere stradale. Il tutto risultava assolutamente infotografabile, ma ero troppo provato per anche solo pensare di estrarre la reflex dalla custodia. E anche per andare a salutare die blaue Engel a Friedenau.

La tremenda scoperta

Un po’ per il caldo, un po’ per l’opprimente insignificanza (urbanisticamente parlando) di quella zona, ma in quel momento decisi che per quel primo giorno poteva bastare. Dovevo tornare al mio monolocale per una doccia ritemprante e poi raggiungere la casa degli amici per cena. “Adesso li avviso”, pensai.
Mentre ravanavo dentro allo zaino alla ricerca del telefonino, la temperatura corporea ha cominciato ad abbassarsi vertiginosamente. IL sudore divenne praticamente ghiaccio.
Con cadenza regolare ho alzato più volte lo sguardo al cielo blu limpido, per poi meccanicamente rituffarlo insieme alle mani isteriche dentro lo zaino. Evidentemente speravo che l’agognato apparato si materializzasse magicamente di nuovo.

All’improvviso, il flashback.

Rampa di risalita dai binari verso l’uscita della Ubahn. Voce di donna in lontananza, alle mie spalle, che grida “Hallo! Hallo!”. Io che la ignoro pensando “mica ce l’avrà con me”. In certi momenti la “disperazione” crea un cortocircuito tale da produrre i pensieri più inconcludenti e le azioni più dissennate. Ho iniziato a uscire e rientrare da quella stazione, in loop, come un disco incantato, fiducioso che quella donna fosse ancora lì ad attendermi. Ciò che più mi seccava in quel momento, erano le innumerevoli foto scattate ; non certo all’impossibilità di connettermi con il resto del mondo.

Punizioni divine

Mi sono interrogato sulla possibile correlazione Bowie=sfiga (visto il precedente), nonché sull’eventualità di un suo beffardo e feroce sortilegio. Dopotutto avevo denigrato e screditato un luogo per lui così importante, a cui era stato profondamente legato. Probabilmente la lucidità e il raziocinio erano evaporati dai pori, insieme all’acqua ingurgitata. Di certo non ho messo subito me stesso – invece che certi improbabili dèi rockettari – di fronte alle mie responsabilità.

Bowie Hauptstraße 155

La cena a base di pene (femminile, plurale)

Durante la cena parvero tutti mossi a compassione per la mia disavventura. Sebbene per delicatezza non lo ammettessero apertamente, dubitavano che sarei tornato in possesso del mio Handy.
Ciò comportava l’impossibilità di programmare e organizzare i percorsi e le mete per i giorni successivi. L’unica cosa che mi restava da fare era salire e scendere dai mezzi in modalità random, attratto e suggestionato dai nomi delle stazioni. L’ho fatto svariate volte e non solo è divertente, ma è anche riserva di sorprese.
Ciò spiega anche il mio non essere mai stato, prima di quest’anno, al Viktoriapark o al Schloss Charlottenburg, come nemmeno alla famigerata Hauptstraße 155.
Famigerata e, aggiungo, del tutto trascurabile perché, perdonami Dave, hai proprio vissuto in uno dei posti più insulsi ch’io abbia mai visto a Berlino.

Ah, il cellulare l’ho poi ritrovato…

La maledizione del Duca Bianco

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