LA LUCE DI UNA NUOVA ALBA

Musica per il cortile
Ellen Fraatz è nata a Berlino Ovest, ed è cresciuta nel quartiere occidentale di Tempelhof. Da adolescente apriva una delle finestre del suo appartamento e appoggiava sul davanzale una cassa del suo impianto. Per una platea composta di condòmini che affacciavano sul comune Hof, Ellen suonava i vinili dismessi per juke-box che le passava un amico.
Erano gli anni ’80, la città era ancora divisa e non immaginava che sarebbe diventare una pioniera della musica techno. Tantomeno si aspettava che, nonostante la speranza condivisa da molti, il Muro sarebbe crollato, illuminando improvvisamente Berlino con la luce di una nuova alba.

9 novembre, sera
La sera della fine del Muro, Ellen si trovava nel quartiere di Schöneberg, in un vecchio edificio abbandonato, che aveva occupato insieme al ragazzo e altre persone.
Appena appresa la clamorosa notizia, inforcò la bici per raggiungere Berlino Est; pedalò a lungo per le strade scarsamente illuminate di Mitte, Friedrichshain e Prenzlauer Berg.
Fu colpita da quel mondo grigio e scarnificato, privo di insegne luminose e cartelloni pubblicitari, dagli edifici sbrecciati e dal generale senso di trasandatezza. Persino i lampioni gettavano sui marciapiedi più ombra che luce, riporta Christine Kensche nel volume dedicato a Berlino della collana “The Passenger“, edita da Iperborea.
Così lontano, eppure così vicino: un mondo e un universo paralleli, in un altro sistema solare, eppure nascosto dietro a un orrendo e insensato Muro.
Da venditrice di birra a protagonista della scena club
Negli anni a seguire, iniziò a lavorare in uno dei primi locali che proponeva musica house, acid e techno, il Fischlabor. Inizialmente Ellen vendeva birra in bottiglia dalla singolare etichetta fluorescente; solo di tanto in tanto diffondeva uno dei suoi mixtape prodotti autonomamente e da autodidatta.
Il gestore del club coniò involontariamente il suo nome d’arte: le selezioni musicali di Ellien (come l’aveva scherzosamente rinominata) gli ricordavano le atmosfere del film “Alien”.
Una sera capitò al Fischlabor il gestore dell’ E-Werk, l’ex centrale elettrica sulla Wilhelmstrasse convertita in palazzo reale della techno, oggi location per mostre ed eventi. L’uomo dovette insistere non poco affinché la ragazza accettasse la sua offerta di suonare nel suo club. Ellen, infatti, fu inizialmente recalcitrante, forse più per un senso inadeguatezza che per scarso interesse. Fu l’inizio della sua fortuna: non solo divenne resident deejay di altri importantissimi club berlinesi, ma la sua fama cominciò ad allargarsi oltre i confini nazionali ed europei.
Grazie agli ampi e inaspettati consensi, potè fondare la propria etichetta, scrivere e autoprodursi.
Le ragioni di un successo
In un’intervista Ellen spiega che deve molto della sua fortuna alla caduta del Muro; la potente carica emotiva di quel momento così insperato le aveva donato la consapevolezza che tutto fosse possibile, caricandola di energia creativa.
“… Il vecchio ordine non esisteva più, né se ne intravedeva uno nuovo. In cerca di spazi, i giovani giravano muniti di torce elettriche e sbarre di ferro nella terra di nessuno, lungo quella che un tempo era stata la striscia della morte, e aprivano club che chiamavano coi nomi dei luoghi che incontravano. Bunker, E-Werk (sottostazione elettrica), Tresor (cassaforte). …”
(Christine Kensche, da The Passenger/Berlino, Iperborea 2019).

Errori e pregiudizi
Racconti come questo, di periodi storici così unici e irripetibili, esercitano su di me un potere di fascinazione irresistibile. Essi quasi assumono i connotati di un nostalgico rimpianto, come a dire: io c’ero, ma non sapevo dove fossi. Ebbene, oggi so perfettamente dove avrei voluto essere.
Ricordo i telegiornali di quel giorno e il copioso rimbalzo della notizia-bomba ovunque, ma la mia reazione fu appena di tiepido, opaco e apatico stupore. Avevo (ho) la stessa età di Ellen, ma ero nato e cresciuto, vivevo, in un’altra galassia. Osservai Berlino, la prima volta, incuriosito ma certamente condizionate dall’idea deformata e affatto circostanziata di una metropoli cupa, austera e non particolarmente attraente.
Conoscevo Ellen Allien solo di fama, perché non sono mai stato un estimatore della techno, per quanto negli anni zero bazzicassi la scena club romana. A Berlino, invece, le mie incursioni nelle dance hall erano molto rare.
A Roma, quando dicevo di andare spesso a Berlino, ma di non essere mai stato al Berghain, al Suicide Club, al KitKat o al Club der Visionäre, qualcuno strabuzzava gli occhi e mi chiedeva cosa andassi a fare nella capitale della musica techno, se non a trovare me stesso tra luci stroboscopiche e particolari sostanze.
Lontano da
La verità è che ho sempre preferito rigenerarmi distaccandomi da rassicuranti consuetudini, con lunghe passeggiate notturne e solitarie, da discreto osservatore della movida notturna tra Friedrichshain, Kreuzberg e Prenzlauer Berg. Piuttosto che gettarmi nella mischia, sulla pista di un locale di grido, ho sempre preferito tirare fino all’alba scarpinando. Oppure rilassarmi in una più tranquilla kneipe, dove la musica comunque non manca e talvolta è possibile comunque ballare. Sebbene abbia rilevato una perversa ed eccessiva tendenza al kitch-nostalgico, che indugia con insistenza sugli edonistici e plasticosi anni ottanta. Una sera quasi mi andò di traverso la birra su un alquanto improbabile mash up tra “Smack My Bitch Up” e “Touch Me“.