LA FRONTIERA DI BERLINO OVEST

West Berlin, 1981
I CCCP – Fedeli Alla Linea si sono formati all’inizio degli anni ’80 a Berlino Ovest, all’epoca ricco enclave e città di frontiera. Negli anni in cui s’imposero sulla scena musicale italiana, li giudicavo con un certo scetticismo. Li ritenevo un po’ ridicoli nella riproposizione di un genere, il punk, che ritenevo morto o quantomeno obsoleto. Gli anni ’70 e ’80 avevano funto da spartiacque tra il decennio più acrilico e ribelle e quello maggiormente plastificato ed edonista. Ai tempi di Clash e Sex Pistols ero troppo piccolo per capirli e apprezzarli e quando, da adolescente, ho iniziato ad appassionarmi di musica, il punk era ormai defunto. Scorrevano impetuose le correnti new wave e new romantic e la musica del collettivo emiliano mi giungeva troppo basica e scarnificata. Ero soggiogato da soluzioni musicali più corpose, da melodie e armonie più suggestive e strutturate.
Dalla Pianura Padana all’Europa dell’est
Ferretti, Zamboni e compagni, comunque, mi suscitavano un po’ di simpatia. Li avevo etichettati come combriccola di punkettoni nostalgici, amanti della caciara, con uno spiccato gusto per la provocazione e la trasgressione. Tuttavia, non pensavo che fossero in grado di andare oltre il loro gusto estetico e la suggestiva, continua evocazione del socialismo di stampo sovietico. I loro ideali di anarchia e il senso di piatta, grigia e umida depressione aveva molto a che vedere con i loro – e miei – luoghi di provenienza: la “rossa” Emilia.
Forse, se avessi avuto 14 anni sul finire degli anni ’80, li avrei amati follemente e non etichettati in modo poco circostanziato. Ammetto, infatti, di non averli molto frequentati, eccezione fatta un loro concerto in un centro sociale di Bologna, a cui partecipai casualmente.
Ricordo che in quella occasione ondeggiai poco convinto, più per inerzia, sulle note della catartica (a mio avviso anche un po’ pallosa) Emilia Paranoica, uno dei loro primi successi.
Un viaggio unico e affascinante
Ciò che mi avvicina ad artisti e mondi che non conosco e apprezzo particolarmente, è approcciarmi alla loro storia previo un docufilm oppure, come in questo caso, un libro autobiografico.
In libreria mi sono ritrovato tra le mani Io e i CCCP – Una storia fotografica e orale, e sono stato incuriosito dalle note sulla quarta di copertina. Il volume raccoglie le memorie di Umberto Negri, bassista e programmatore nella formazione originaria fino al 1985 – prima del loro boom – e racconta la genesi e le dinamiche relazionali della band. Interessante la spiegazione di una “scelta” stilistica che è diventata un loro marchio di fabbrica, ossia l’assenza di un batterista e il ricorso alle drum machine durante i live.

Come anticipato in copertina, il primordiale organico – che includeva anche un batterista – dei CCCP si formò proprio a Berlino, precisamente nell’Ortsteil di Kreuzberg. Questo quartiere, il più proletario e multietnico dell’ex Berlino Ovest, all’epoca era considerata la zona di frontiera per eccellenza della città. Un’isola all’interno di un’altra isola. Kreuzberg era separato da Friedrichshain, lo speculare quartiere di Berlino Est, dal Muro, dal Spree e dal monumentale Oberbaumbrücke. Parte del muro che li separava è la nota East Side Gallery.

Oggi i due quartieri sono stati accorpati in un’unico distretto. Da periferie e zone di frontiera, si sono trasformate nel centro geografico e polo artistico-culturale della capitale. Dal libro emerge che, per quanto Kreuzberg fosse considerata una zona brutta e desolata, in realtà era scossa e animata da un costante fermento. Talmente potente e vitale da attrarre un gran numero di giovani e artisti da tutta Europa. Un quartiere con una forte anima “rossa”, in cui avevano luogo manifestazioni e lotte antisistemiche, occupazioni e dove nacquero numerosi centri sociali.






Un mondo alternativo
Grazie agli aneddoti corredati da inedite immagini d’epoca in bianco e nero scattate dall’autore, si colgono lo spirito e l’essenza di una realtà ormai lontana. Imperdibile il capitolo dedicato al primo viaggio verso Berlino, in autostop, attraverso quel mondo parallelo e misterioso che era la DDR.
“… Per noi che partivamo da Reggio Emilia, arrivare a Berlino era affascinante per vari motivi: da una parte perché era una grande città, dall’altra perché ritrovavamo un mondo alternativo che in Italia stava morendo. … “.
Il libro coglie pienamente l’atmosfera che vi si respirava, già ben espressa dal documentario B-Movie: Lost & Found in West-Berlin 1979-1989.
Una curiosità: in una scena di B-Movie, si intravede una locandina con il loro nome, ma probabilmente si trattava di un’omonima punk band tedesca. Per questo motivo decisero di aggiungere la dicitura Fedeli alla linea.
Haupstadt der D.D.R
Uno dei loro brani più noti, la convulsa Live in Pankow, è strettamente correlata a Berlino. Un inno post-punk incluso nel loro album live Live in Punkow, che nelle note riporta quanto segue: “Questo disco suona come una Trabant. Tre cilindri, tre marce, prima, seconda, terza” .
Sono due personaggi tra loro diversissimi, Ferretti e Zamboni. Ma il loro percorso artistico così complesso e articolato attraversa e centra così tanti momenti storici e culturali che faccio fatica a pensare che qualcuno che ha la nostra stessa matrice possa non averci trovato delle intersezioni.
Se non l’hai letto ti consiglio davvero questo libro; offre un punto di vista dall’angolazione di qualcuno che (questo non si è capito bene) si è tirato fuori o forse è stato messo nella condizione di farlo… e Z., ma soprattutto F. non è che ne escano proprio in modo immacolato…