IL SOGNO DI WILLY BRANDT

Chi è Willy Brandt
Da tre anni, il Flughafen Berlin-Brandenburg “Willy Brandt” accoglie milioni di turisti che volano fino a Berlino. Ma, per chi non è tedesco, né un appassionato o uno studioso di storia, il nome dello scalo potrebbe non suggerire più di tanto. Approfondendo la sua singolare biografia se ne comprendono il peso e l’apporto esercitati in almeno mezzo secolo di storia tedesca. Ciò più che colpisce di Willy Brandt, è il suo grande sogno e l’accorato impegno profuso nel perseguirlo. Ancora oggi Herbert Ernst Karl Frahm, questo il suo vero nome, incarna la figura di un politico, e soprattutto di un uomo, fedele ai propri ideali.
Sindaco e cancelliere
Willy Brandt fu cancelliere della Repubblica Federale Tedesca (detta anche Germania Ovest) dal 1969 al 1974 e primo cittadino di Berlino Ovest dal 1957 al 1966. Quindi, proprio nel pieno della guerra fredda tra U.R.S.S. e U.S.A., che sarebbe culminata nella costruzione del famigerato Muro. Non si trattò solo di dividere una metropoli già spaccata in due, ma anche di sottolineare le distanze tra visioni politiche e di società in antitesi. Differenze che alimentarono come benzina le smanie di predominio delle due superpotenze. Comunismo e socialismo contro capitalismo e liberalismo, il proletariato opposto alla borghesia.

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L’esilio scandinavo
Negli anni ’30 del XX sec. lasciò la Germania e assunse definitivamente il nome Willy Brandt. Dopo il suo insediamento al potere, Adolf Hitler aveva imposto un governo monopartitico e dichiarato illegali tutte le altre fazioni, incluso il Partito Socialista dei Lavoratori di Germania, di cui Brandt era membro. Privato della cittadinanza tedesca, trovò riparo prima in Norvegia e poi in Svezia dove, su indicazione del partito, proseguì le attività clandestine di contrasto al nazismo. Rientrò in Germania nel 1949 e, riacquisita la cittadinanza tedesca, decise di mantenere il nome di copertura assunto a Oslo. I suoi oppositori più accaniti, specie nella neonata DDR, strumentalizzarono più volte tali circostanze. I gerarchi della Germania Est lo accusarono puntualmente di vigliaccheria e alto tradimento per l’essere rimasto lontano dalla patria negli anni più duri e difficili della guerra.
Ritorno in Germania
Alla fine della guerra, la Germania fu spartita tra le forze alleate, come sancito prima dal Protocollo di Londra e successivamente dalle conferenze di Jalta e Potsdam. Berlino rappresentò da subito un problema per la sua collocazione geografica, sita nel cuore dei territori orientali assegnati all’Unione Sovietica. Americani, Inglesi e Francesi non intesero in alcun modo di rinunciare alla capitale tedesca. Rivendicarono con decisione quanto stabilito nell’accordo firmato anche dai Sovietici, ovvero l’amministrazione della capitale congiunta tra le forze alleate. Nonostante la suddivisione di Berlino in quattro settori, i Russi non cessarono mai di trattare come intrusi gli ex alleati.
Spalleggiati da Mosca, i governanti della DDR, ostacolarono le relazioni diplomatiche tra est e ovest, nella speranza era che gli occidentali abbandonassero Berlino per sfinimento. Ciò comportò inevitabili ripercussioni anche sul quotidiano dei cittadini. In sostanza i tedeschi – e i berlinesi ancora maggiormente – pagarano a caro prezzo la sconfitta bellica. Depredati delle loro città e della loro nazione, restarono in balia dei frequenti bracci di ferro tra i loro liberatori. La nazione tedesca divenne l’oggetto del contendere tra ideologie e visioni politiche opposte, e la popolazione si trovò schierata suo malgrado da una parte o dall’altra. Il sogno costante di Willy Brandt fu quello di una nazione unica, di una sola capitale e di un popolo non diviso.
Alle radici del Muro
Prima dell’avvento del Muro, numerosi berlinesi dell’ovest si recavano al lavoro a est e, soprattutto, viceversa.
Le tensioni sempre più accese e la discrepanza tra diverse prospettive di vita spinsero sempre più cittadini orientali ad abbandonare il paese. La DDR chiuse i confini che la separavano dall’agognata Germania Ovest, e addestrò le guardie di frontiera a sparare, all’occorrenza, contro eventuali fuggitivi. Tuttavia, a Berlino l’impresa era ben più ardua. L’esigenza di un “vallo antifascista” (il suo ideatore, Walter Ulbricht, tale lo definì) doveva arrestare l’emorragia di cittadini che intendevano abbandonare il paese. L’ulteriore perdita di forza lavoro (composta anche da eccellenze formate nelle proprie università) avrebbe comportato il crollo dell’intero sistema. A Berlino Est, infatti, la produttività delle svariate fabbriche era indispensabile al mantenimento degli accordi di fratellanza e sostentamento tra i paesi del blocco sovietico.
L’appello di Willy
«Non lasciate che facciano di voi delle canaglie! Date prova di umanità a ogni occasione possibile! E soprattutto non sparate sui vostri connazionali!». Fu una delle frasi che Willy Brandt, il 16 agosto 1961, pronunciò di fronte a 300.000 persone radunate davanti al municipio di Schöneberg. La città era ancora profondamente scossa dai lavori di installazione del Muro iniziati qualche giorno prima, nella notte tra il 2 e 13 agosto. Il traumatico evento aveva lasciato numerosi cittadini improvvisamente senza lavoro e soprattutto diviso famiglie, amici e coppie di innamorati.
Le responsabilità politiche
Il discorso di Brandt si rivelò purtroppo profetico. Nonostante le smentite di Berlino Est, i piani alti della DDR avevano addestrato i Vopos e i militari di frontiera affinché ricorressero all’utilizzo delle armi. Nei mesi successivi, sempre più frequenti tentativi di fuga culminarono in tragedia. Brandt fu praticamente il solo esponente politico, tra le cariche più elevate, a opporsi con veemenza al Muro. I suoi appelli rivolti al cancelliere Konrad Adenauer e a John Fitzgerald Kennedy caddero nel vuoto. Il presidente degli Stati Uniti parve accettare il progetto della barriera come ragionevole prezzo da pagare al fine di scongiurare la guerra nucleare. Per gli alleati dei settori occidentali, il Muro rappresentò un impoertante riconoscimento di legittimità della loro indesiderata presenza a Berlino.
Il gesto
Nel dicembre del 1970 Willy Brandt, in qualità di capo del governo tedesco-occidentale, si recò in visita ufficiale a Varsavia. Il cancelliere sorprese l’opinione pubblica inginocchiandosi davanti al memoriale dedicato alla rivolta del ghetto ebraico del 1940. Il gesto inaspettato venne interpretato come un’ammissione di responsabilità e una richiesta di perdono a nome della Germania.
A riguardo, nella sua autobiografia Erinnerungen, scrisse:
«Di fronte all’abisso della storia tedesca, al peso dei milioni di individui che furono sterminati, ho fatto ciò che a un uomo resta da fare quando gli mancano le parole».
L’episodio non suscitò forti entusiasmi, ma piuttosto generò qualche polemica tra la popolazione tedesca, ancora a disagio con la nota questione morale legata alle responsabilità dell’Olocausto.
Uomo di pace
Willy Brandt restò fedele al suo sogno, alla sua visione di un mondo plasmato su modelli di politica improntati su pace e dialogo. Ne fu prova l’aperto sostegno al movimento sionista che non gli impedì, comunque, di esprimersi anche a favore del riconoscimento dei diritti del popolo palestinese. Negli anni al comando della Germania Ovest, la sua linea di politiche estere, nota come Ostpolitik, si distinsero per i toni distensivi e concilianti. Riconobbe gli stati del blocco sovietico e soprattutto aprì al dialogo con la DDR, con l’obbiettivo di migliorare i rapporti tra le due Germanie, a beneficio dei rispettivi cittadini.
Anche per queste ragioni, nel 1971 ricevette il premio Nobel per la pace.
Gli ultimi 20 anni
Nel 1974, emerse il coinvolgimento di uno suo stretto collaboratore nella Stasi. Brandt se ne assunse le responsabilità, rassegnando le proprie dimissioni. Proseguì l’attività politica all’interno della SPD, alla cui presidenza restò fino al 1987. Morì a 78 anni nel 1992, tre anni dopo la caduta del Muro e due dopo la realizzazione del suo sogno: quella di una sola, grande Germania. Un anno dopo la sua scomparsa, in Wilhelmstraße fu posata la prima pietra della Willy-Brandt-Haus, un centro culturale in cui ha attualmente sede la SPD. In vita fu un frequente bersaglio di contestazioni e polemiche; oggi gli è riconosciuto il meritato valore umano e politico.