IL SALTO VERSO LA LIBERTÀ

La nascita del Muro
La Bernauer Straße si snoda per poco meno di 1 km e mezzo tra gli Ortsteil di Prenzlauer Berg e Mitte. L’incrocio con la Brunnenstraße è caratterizzato da un’immagine entrata nella storia. Sulla fiancata cieca di un edificio, troneggia la riproduzione di uno scatto fotografico di enorme rilevanza storica. Oltre ad aggiudicarsi il premio OCP nel 1961 come migliore foto, dal 2011 è annoverata come patrimonio Unesco. Il titolo assegnato a questa fotografia di indubbio impatto, che ha catturato un drammatico e delicato momento storico, è Il salto verso la libertà.
15 Agosto 1961, pomeriggio
Il 19enne Hans Conrad Schumann, militare della Repubblica Democratica Tedesca, era di servizio sulla Bernauer Straße. Insieme a due compagni, stava pattugliavando l’area a loro assegnata per le operazioni preliminari di posa del “vallo antifascista” ideato e voluto da Walter Ulbricht. Nonostante lo scetticismo e le perplessità iniziali del regime sovietico, alla fine Mosca aveva approvato l’installazione del famigerato Muro. Il suo scopo era quello di arrestare la preoccupante emorragia di cittadini della DDR che fuggivano a ovest. All’altezza della Ruppiner Straße – non distante dal punto della gigantografia – i militari della DDR cominciarono a srotolare dei grossi covoni di filo spinato lungo il confine tracciato dai sovietici. Una barriera provvisoria, alta appena 80 cm, ma sufficienti ad arginare i tentativi di fuga dei cittadini dell’est.
Gli eventi
Il giovane Conrad si era da poco arruolato nell’esercito come volontario. Aveva abbracciato la causa socialista in cui credeva, giurando fedeltà allo Stato. Tuttavia, qualcosa si era incrinato proprio nel corso di quei tesi giorni estivi. I berlinesi, sia a est che a ovest, osservavano perplessi e angosciati le operazioni dei militari della DDR, sotto lo sguardo impassibile dei soldati occidentali. Quel 15 agosto di 60 anni fa, sul posto, dal lato opposto del filo spinato, erano presenti svariati fotografi e cineoperatori, tra cui il ventenne Peter Leibing, giunto da Amburgo.
Leibing notò quel soldato inquieto – Schumann appunto – passeggiare nervosamente avanti e indietro. Intuì che stesse per accadere qualcosa di interessante da immortalare con la sua fotocamera. Ebbe la netta impressione che il giovane militare stesse prendendo le misure per tentare la fuga. Dunque, si appostò in attesa vicino a un gruppo di soldati americani. Questi ultimi esortavano quelli della DDR a compiere il salto e mettersi in salvo.
Komm Rüber!
Vieni, vieni di qua! gridò il fotografo al titubante coetaneo. Conrad approfittò di un attimo di distrazione dei suoi commilitoni, gettò la sigaretta e prese la rincorsa. Il suo salto verso la libertà, mentre lasciava alle spalle il fucile, gli amici e la famiglia, restò impresso sulla pellicola di Peter. I militari occidentali gli offrirono riparo immediato su uno dei loro mezzi. Il gesto di Schumann fece il giro del mondo e lui divenne icona e simbolo di un regime totalitario e brutale. Conrad fu il primo fuggitivo della DDR. La sua vicenda è un buon esempio dei profondi disagi esistenziali causati dalla kalter Krieg. Infatti, la sua nuova vita a ovest fu tutt’altro che idilliaca.


Eroe a ovest, codardo a est
Per il mondo occidentale, Schumann divenne un eroe; persino Ronald e Nancy Reagan, in occasione di una visita ufficiale a Berlino, vollero incontrarlo e posare in foto al suo fianco. Nella DDR, invece, venne additato come un disertore, un vile e spregevole traditore della patria. Conrad ricevette diverse lettere dai suoi genitori con cui lo imploravano di tornare, ma egli scelse di restare in Germania Ovest. Si trasferì a Edenhausen, un piccolo villaggio a nord-ovest di Monaco di Baviera e lì incontrò la donna che avrebbe sposato. Dopo la caduta del Muro seppe ciò che aveva sospettato: i genitori, che non vollero mai rivederlo, gli scrivevano solo perché sotto pressione della Stasi.
L’epilogo
Quel salto proiettò Hans Conrad Schumann, più che verso la libertà, in un mondo nel quale stentò a integrarsi.
Condusse un’esistenza popolata dagli spettri ingombranti del passato e da sensi di colpa che non gli consentirono di trovare pace con sé stesso. Cambiò svariati lavori e cadde in una forte depressione che lo spinse all’alcolismo.
Poi, a Germania riunificata, un impiego stabile, il matrimonio e la paternità sembrarono averlo finalmente reso un uomo sereno. Il 20 giugno del 1998 si allontanò da casa dopo un’accesa discussione con la moglie, la quale dopo alcune ore lo ritrovò appeso al ramo di un albero non lontano dalla loro abitazione.
Fu ancora un salto a riaccendere i riflettori sul suo nome, ma questa volta verso la morte.