BERLINO E IL MITO DI CHRISTIANE F.

Il mito aleggiante

Nell’immaginario collettivo, una delle figure più associate a Berlino, ha sicuramente il volto angelico e lo sguardo tenero di una graziosa ragazzina che di nome fa Christiane Vera Felscherinow. Per tutti è più semplicemente Christiane F. e la sua immagine ha marchiato a fuoco un’epoca; negli anni si è consolidata la fama di icona, di mito aleggiante su Berlino. Christiane nasce ad Amburgo il 20 maggio 1962. Ha appena 6 anni quando la sua famiglia si trasferisce a Berlino Ovest. Inizialmente si stabiliscono a Kreuzberg, poi nel distretto di Neukõlln, in uno degli appartamenti del Gropiusstadt, gigantesco e asettico complesso edilizio risalente ai primi anni ’60.
La discoteca Sound a Tiergarten
Christiane inizia presto a fare uso di sostanze stupefacenti: a soli 14 anni è un’eroinomane a tutti gli effetti.
I suoi primi approcci con le droghe hanno luogo in un centro giovanile di quartiere, per evolversi successivamente al Sound, il club più in voga di Berlino Ovest. Nella “discoteca più moderna d’Europa” – come recitava uno slogan – incontra i primi amori e gli amici coi quali sperimenta prima agli acidi per poi approdare all’eroina. I genitori si separano e la sorella minore sceglie di seguire il padre, mentre Christiane resta con la madre a Gropiusstadt.
La donna sembra troppo dedita a se stessa e all’uomo con cui ha intrapreso una nuova relazione, per prestare attenzione alla figlia. A sua insaputa, Christiane inizia a trascurare la scuola e a frequentare sempre più assiduamente la stazione centrale di Bahnhof Zoo dove, insieme al ragazzo e ad altri coetanei, si prostituisce per procacciarsi l’eroina.
Genesi di un successo
Nel 1978, due giornalisti del noto settimanale Stern, Kai Hermann e Horst Rieck, la incontrano in un’aula di tribunale. La sedicenne è testimone in un processo a carico di un uomo accusato di fornire eroina a minorenni in cambio di favori sessuali. Christiane accorda loro un’intervista, tramite cui rivela i nitidi e agghiaccianti dettagli dell’intenso narcotraffico e giro di prostituzione minorile che gravitano intorno alla stazione . In un primo tempo viene pubblicato un reportage a puntate sul noto settimanale. La testimonianza di Christiane è uno squarcio nero che lacera l’immagine patinata, la rinomata fama di isola felice di cui godeva alla ricca enclave di Berlino Ovest.
Lo scalpore e l’interesse sono tali da spingere gli editori di Stern a trarne un libro. Christiane F. – Noi i ragazzi dello zoo di Berlino è diventato all’istante un caso editoriale in Germania. Successivamente tradotto in oltre 15 lingue, viene pubblicato con enorme successo in numerosi altri paesi.

Il successo del film
Dall’autobiografia (scritto a sei mani con Hermann e Rieck) venne tratta una pellicola di grande successo che puntò maggiormente i riflettori su Christiane e sulla sua drammatica storia. Uli Edel, alla sua prima regia, diresse la pellicola che divenne all’istante un cult movie, specie tra i teenager europei. Rappresentò una sorta di contraltare a un altro film di grande successo di quel periodo: “Il tempo delle mele“, commedia adolescenziale francese.
Il cast
L’esordiente Natja Brunckhorst venne scelta per il ruolo di Christiane, diventandone l’alter ego iconografico.
Il volto imbronciato della giovane attrice arrivò a sovrapporsi, sovrastandolo, a quello della protagonista reale.
Natja aveva il viso e la fisicità giusti per trasmettere un senso di tenera fragilità, tuttavia, a mio avviso, appare un po’ troppo apatica, quasi priva di vitalità, rispetto alla Christiane del libro.
La pellicola di Edel, solo in parte fedele al libro, colpì l’immaginario collettivo dell’epoca, sia per la crudezza delle immagini, sia per il ritratto inedito di Berlino Ovest. Una metropoli caotica e disordinata, grigia e persino un po’ squallida, a partire dai due luoghi chiave del film: la stazione e l’estrema periferia in cui viveva Christiane.
Tra le comparse vennero assoldati, direttamente in zona Bahnhof Zoo, alcuni reali tossicodipendenti: tra questi, Catherine Schabeck detta Stella, una delle amiche più strette della protagonista.
Oltre le apparenze
«Gropiusstadt: casermoni per quaranticinquemila persone, con in mezzo prati e centri commerciali. Da lontano tutto nuovo e ben curato. Ma quando si stava in mezzo ai casermoni si sentiva dappertutto puzza di piscio e di cacca. … Più di tutto puzzava la tromba delle scale. I miei genitori inveivano contro i figli dei proletari che sporcavano la tromba delle scale. Ma i figli dei proletari nella maggior parte dei casi non potevano farci niente. Me ne accorsi la prima volta che giovavo fuori e improvvisamente dovetti andare al gabinetto. Aspettando l’ascensore che non arrivava, ed ero all’undicesimo piano, me l’ero fatta sotto. Mio padre mi picchiò. Dopo che per un paio di volte non ce l’avevo fatta ad arrivare in tempo da sotto fino al nostro bagno, e avevo preso le botte, mi accoccolavo da qualche parte a farla dove nessuno mi vedeva. …».
L’idolo di Christiane
I perché di una leggenda
La colonna sonora, incentrata su una manciata di brani già editi di David Bowie, fu la pennellata finale di un quadro affascinante e suggestivo. Le canzoni – “Heroes” in primis – e il leggendario cameo della rockstar inglese contribuirono sensibilmente al successo del film, ma soprattutto diedero ulteriore vigore alla sua già ragguardevole popolarità. La cosiddetta trilogia berlinese, frutto del periodo trascorso nell’appartamento di Hauptstraße, a Schöneberg, entrò ufficialmente nel mito anche grazie al film. Le riprese del concerto berlinese a cui assistette Christiane nel 1976 alla Deutschlandhalle (demolita una decina di anni fa), in realtà furono filmate a New York poiché il Duca Bianco era in tournée negli States. Nel libro, Christiane cita Bowie in sparute occasioni, per cui in realtà la star britannica non gode della centralità che gli è stata invece riservata nella pellicola.
Anche se sono trascorsi più di quarant’anni dalla nascita del mito di Christiane F. e della sua correlazione con Berlino, ancora oggi il suo nome e il suo volto evocano un’epoca oscura che esercita ancora un certo fascino.
Per comprendere l’impatto culturale che ha esercitato la sua vicenda e quanto sia di fatto entrata nella storia moderna di Berlino, suggerisco il post di questo blog. Racconta, in chiave ironica e leggera l’ossessione della blogger per Christiane. Tra simpatici aneddoti del suo primo soggiorno berlinese con il “malcapitato” compagno, spiega i motivi della sua ossessionante “fascinazione”, partendo dalla visione del film, fino alla ripetuta lettura del libro.
Quarant’anni dopo
Dopo aver visto la deludente serie tv prodotta da Amazon Prime, ho ripreso in mano il famoso bestseller e ho acquistato il seguito, pubblicato nel 2014 e a mio avviso persino più interessante e meglio scritto.
In seguito alla rilettura del primo ho rivissuto e respirato nuovamente, in una specie di amarcord sensoriale, i cromatismi e gli odori di quell’epoca. Anche nella mia “piccola” Bologna, la tossicodipendenza giovanile era una piaga dilagante. Era consuetudine incontrare siringhe usate un po’ ovunque: dai giardini delle scuole al prato davanti casa. In centro, nel quartiere universitario, le travi in legno dei portici erano spesso infilzate con “spade” sporche di sangue.
Destini e conseguenze
In quegli anni lo spinello era considerato il passaggio, l’anticamera, la sicura condanna all’eroina. Il libro di Christiane contribuì di certo nell’alimentare una convinzione diffusa quanto assai poco veriteria. A 15 anni dissi no alla prima canna, perché il libro, e soprattutto il film, mi avevano realmente impressionato e spaventato. Guardavo i miei coetanei fumare hashish, e li giudicavo come dei condannati a morte. Pallidi e provinciali replicanti dei protagonisti del libro e del film. Nessuno tra essi mi risulta che sia diventato eroinomane, né che sia morto.
Babsi, Axel, e Stella, tra i tanti, sono invece deceduti. Detlef, l’ex ragazzo di Christiane, pare che si sia disintossicato e goda oggi di buona salute. Contrariamente a Christiane che da anni affronta le gravi conseguenze dei suoi abusi.
Perché (e come) affrontare Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino
Il libro è sorretto da uno stile narrativo essenziale e asciutto, direi scarnificato. Il quadro che ne esce mostra i conflitti e il senso solitudine tipici dell’adolescenza, narrati con estrema lucidità fino a colpire allo stomaco.
Da un punto di vista squisitamente letterario, ritengo che debba essere avvicinato consapevoli che si tratta di un reportage che ambisce a un realismo che non ammette censure e sconti. Lo stile basico e privo di fronzoli della sua scrittura restituisce l’autenticità e la credibilità di un “diario” redatto da una ragazzina di 16 anni.



Un legame indissolubile
Christiane (e tutto l’immaginario, talvolta sin troppo fantasioso, che la circonda) è ancora oggi parte integrante di Berlino. La ragazzina di ieri è diventata una donna e madre di mezz’età che lotta contro i fantasmi del passato e gli strascichi di una dipendenza che ne ha minato la salute. Soprattutto continua a pagare il prezzo di una fama non auspicata, né voluta, inquinata da forti pregiudizi e, come dimostra il caso (non isolato) del post menzionato in apertura, da quel tipico feticismo che di norma investe le rockstar. Aspetti che ho cercato di approfondire in un ulteriore post dedicato alla sua seconda autobiografia.