BERLIN CALLING

BERLIN CALLING di Hannes Stöhr
La Berlino techno degli anni 2000
Quando vidi Berlin Calling per la prima volta provai un certo fastidio. Mi era sembrato un film troppo furbo e pervaso da un serpeggiante e molesto moralismo.
Durante il periodo di uscita del film nelle sale, si stava consumando l’atto finale della mia breve parentesi amorosa con i locali e la musica techno.



In realtà ho frequentato i locali di Berlino in rare occasioni, un po’ perché gli amici che vivono lì non sono interessati a questo tipo di svago, molto perché il posto in cui più sarei voluto andare, il famigerato Berghain, un’ex centrale elettrica diventata il tempio della techno in Europa, presentava il problema di una selezione all’ingresso a dir poco ferrea, basata perlopiù su regole ignote e principi imperscrutabili.
Qui un interessante articolo che racconta l’esperienza di chi ce l’ha fatta.
La scena club berlinese
Avendo visto con i miei stessi occhi nutriti gruppi di ragazzi, nei weekend, dirigersi verso l’ex complesso industriale già dalla Warschauer Straße e soprattutto l’entità della coda da affrontare al fine di ricevere un probabilissimo quanto misterioso e inspiegato nein, ho deposto ogni intento.
Invece, a Roma andavo – giusto di tanto in tanto, sennò temo non sarei qui a scriverne – a serate cosiddette alternative dai nomi altisonanti come “Amigdala” e “La Roboterie”.
Quest’ultima in particolare, lo ricordo ancora, proponeva musica elettronica ai limiti dell’hardcore, completamente sprovvista di linee armoniche e melodiche. Il tutto in un locale nel rione Monti, dove il riverbero dei bassi e dei bpm quasi laceravano e distaccavano le viscere dal corpo. C’era bisogno di roba forte per apprezzarla; in confronto la musica di questo film è robetta per novellini alle prime esperienze. A tal proposito, l’autore della colonna sonora di Berlin Calling è Paul Kalkbrenner, protagonista del film, insieme al fratello Fritz.
Un film di culto
Tornando al film, rivisto a distanza di oltre 10 anni, l’ho sorprendentemente rivalutato. Paradossalmente, i presunti intenti moralistici si sono tramutati in intenzioni spudoratamente seduttive.
Mi sembrò un accattivante spottone pubblicitario su una Berlino in tutta la fulgida sostanza di quegli anni. Gli ultimi frangenti di un tramonto incantevole, quanto inevitabile, che poneva la parola fine alla nomea di capitale più povera – quindi abbordabile – e sexy d’Europa. Sembra che molti ventenni/trentenni di allora siano rimasti ammaliati da questo film, al punto di trasferirsi nella capitale tedesca. In effetti il senso di divertimento, follia e degrado esibito in Berlin Calling è decisamente intrigante, oltreché fedele alla realtà di quel tempo.
Il film di Hannes Stöhr superò il precedente record di giorni di programmazione presso il Kino international sulla Karl-Marx-Allee.
Note positive e negative
Un appunto che mi sento di fare al film, è una certa superficialità di base nel trattare il tema delle dipendenze da stupefacenti. L’approccio appare un po’ banale o comunque poco utile: l’infanzia difficile, le figure genitoriali, le colpe della società e via dicendo. Sono invece curate e azzeccate le scelte estetiche e scenografiche, grazie a riprese notturne e inquadrature nei luoghi più iconici della città, di sicuro impatto.
Il protagonista del film si chiama Ickarus ed è un DJ di grido che pubblica dischi e viaggia per tournée internazionali. Ha una fidanzata-manager, una produttrice musicale, un padre (pastore evangelico), un fratello, un “amico” pusher e una groupie cocainomane.



Citazioni
Direi il Cuculo di Milos Forman, per il rapporto che si instaura tra Martin “Ickarus” e la dottoressa Paul. Aggiungerei certi eccessi estremi alla Trainspotting, come nella tragicomica scena della colazione in un hotel, o quella del ballo auto-segregato nella stanza della clinica.
Il protagonista si rifa al mito di Icaro, figlio di un inventore (il genio, la creatività) e di una schiava (la solitudine, la dipendenza). Nonostante i moniti di chi lo ama sceglie di avvicinarsi al sole, metafora del desiderio di allontanamento dal proprio disagio esistenziale.
Mi hanno dettoche a Berlino c’è un quartiere di artisti in cui si parla solo inglese. È vero?
Direi Kreuzberg, oppure – in tempi più recenti – anche Neukölln. Sul “solo inglese” non sarei molto sicuro: si parla un po’ ovunque visto che tutta Berlino è piena di expat da ogni angolo del pianeta.