A SCUOLA DI LINGUA TEDESCA

Una decisione necessaria
Da un paio d’anni studio l’impossibile (come lo sento definire da tanti) idioma germanico. Sono ben lontano da un livello accettabile per sostenere una conversazione. La mattina, quando la mente è più fresca e riposata, faccio colazione affrontando una delle lezioni di tedesco disponibili online. L’ideale sarebbe frequentare una scuola; so quanto sia difficile imparare una lingua – specie complessa come quella tedesca – senza l’ausilio di un didatta preparato. Ma per il mio obbiettivo di intuire qualcosa quando lo ascolto e non parlarlo fluentemente è ok così.
Il motivo della mia tardiva decisione è riconducibile ai tanti episodi (forse divertenti da raccontare, ma per me davvero imbarazzanti) in cui la totale estraneità a questa lingua ha cagionato fastidi e inconvenienti.
Alcuni li ho raccontati nel post sottostante.
Un ulteriore episodio
Una notte d’inverno di qualche anno fa stavo rincasando dopo una serata in un locale a Friedrichshain.
Era venerdì o sabato, per cui i mezzi pubblici erano operativi h24. Nonostante ciò decisi di percorrere a piedi la Petersburger Straße fino al grande incrocio con la Landsberger Allee. Lì avrei avrei preso, per poche fermate, il tram fino alla casa che normalmente mi ospita. Talvolta percorrevo a piedi anche quel tratto; una distanza percorribile in circa 20 minuti a passo sostenuto. Quella notte, però, la soffiava un vento a dir poco siberiano per cui, dando un’occhiata al display della fermata, vedendo che ve n’ era in arrivo uno in 2 o 3 minuti, decisi di attenderlo. È vero che i mezzi circolano ininterrottamente nei fine settimana, ma la loro frquenza durante le fasce notturne sono più diradate. Se avessi dovuto attendere anche solo 15 minuti, avrei ripreso la camminata fino a casa (20 minuti circa a piedi) per mantenere attive le funzioni vitali.


Intuizioni errate
Il display, quella sera, riportava una dicitura che non era la solita e a me nota direzione verso capolinea, ma non me ne preoccupai; ero sul lato del senso di marcia giusto. Il mio tram andava verso endet hier. Salii baldanzoso sul mezzo e presi posto in fondo al vagone posteriore. Ero l’unico passeggero a bordo, ma la stanchezza e il freddo mi impedirono di pormi dei dubbi a riguardo. Dopo poche centinaia di metri il tram prese un’inaspettata curva a destra. Il tragitto verso la mia meta è tutto rettilineo, quindi “dedussi” che quell’endet hier fosse il nome del capolinea di una corsa deviata.
Quando basta un gesto
Alzandomi di scatto pigiai il pulsante di prenotazione fermata e mi posizionai davanti alle porte. Speravo solo che la prima e utile fermata non fosse troppo distante dalla Landsberger Allee. Il tram si fermò, ma invece che le porte, si aprì il box della postazione di guida. Il tranviere che ne uscì, con espressione contrariata, mi rivolse alcuni incomprensibili (per me, s’intende) suoni gutturali.
Risposi con uno sguardo smarrito e disperato, quindi abbozzai il “Sorry, I don’t speak German!” di circostanza. Naturalmente il tizio, già abbastanza seccato, continuò a parlarmi nella sua lingua natìa. Poi deve avere capito che ero italiano e ha posizionato il palmo di una mano orizzontalmente sopra quello dell’altra in verticale e finalmente mi si sono sbrinate le sinapsi. Il tram “forse” era fuori servizio e stava rientrando al deposito; quell’autista incazzato non vedeva l’ora di infilarsi nel suo letto, dopo il lungo turno di notte. Io ero uno sgradito intoppo.
endet hier = termina qui
Il buonuomo mi fece scendere sui binari in mezzo alla carreggiata. L’agognato riparo al calduccio domestico era posticipato. Una mente meno surgelata e più elastica della mia avrebbe di certo colto all’istante la possibile traduzione di quei due striminziti vocaboli. Tra l’altro, essendo scritti senza maiuscole, non potevano indicare il nome di una via o di una piazza. In tedesco, non solo i nomi propri, ma anche tutti i sostantivi vanno scritti con la lettera maiuscola, ma questo l’ho appreso solo di recente. Comunque non avevo alibi; l’assonanza con l’inglese “end here” era, per una volta, a dir poco lampante. Ho scritto “per una volta” perché per quanto il tedesco e la lingua di Albione appartengano allo stesso ceppo, si somigliano quanto un triangolo e un cerchio.
Fünfunddreißigtausendsiebenhunderteinundachtzig und vierundzwanzig Cent, bitte.
Proprio perché memore di episodi (affatto isolati) come questo, ho deciso di approcciarmi alla lingua; per afferrare almeno uno straccio di senso quando leggo un banale display. O anche per darmi la possibilità di afferrare (anche male) l’annuncio di un altoparlante in stazione. Per smettere, al supermercato, di sporgermi con invadenza, suscitando il malumore di certi algidi cassieri, al fine di leggere l’importo da pagare sul display della cassa.
Una lingua aspra e difficile
Io, da italiano, cerco di parlare tenendo le braccia incollate ai fianchi o le mani imprigionate nelle tasche, per non sembrare una sorta di macchietta alla Pulcinella. Per questo, quando odo le voci, sia maschili che femminili, annunciare le fermate sui mezzi pubblici, con tono soave e mellifluo, sorrido e mi intenerisco. Sono quasi convinto che sia un tentativo di alleggerirne il suono duro e, per ragioni tristemente storiche, sinistro.
Non credo che il tedesco sia più ostico dell’italiano; semplicemente appartengono a due famiglie linguistiche diverse. Come differenti sono le loro radici ed evoluzione. Certo è che comprendere e acquisire altre regole grammaticali richiede una freschezza, un’elasticità mentale che magari a 50 anni si sono perse.
Per queste ragioni suggerisco a chi, come il sottoscritto fece a suo tempo, tergiversa e rimanda scoraggiato dalle oggettive – ma non insormontabili – difficoltà, di non perdere tempo ulteriore e addentrarsi impavido in logiche diversamente macchinose e complesse, facendo tabula rasa di ogni pregiudizio e di inutili comparazioni.
È vero: con molta probabilità non ci si sentirà mai liberi di nuotare in mare aperto, con gli scogli delle declinazioni fissi sulla nostra linea d’orizzonte, ma quando non si è nuotatori provetti, gli scogli ci ricordano che la riva è poco distante, alle nostre spalle.
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