A BERLIN LOVE STORY

A BERLIN LOVE STORY

La mia storia d’amore con Berlino

A Berlin Love Story

Non è stato un colpo di fulmine, quello tra Berlino e me. La prima volta fu nel dicembre del 1999: una partenza improvvisata, grazie all’offerta di una compagnia aerea. Non erano ancora esplose le low cost, e un volo a poco più di £ 200.000 a quei tempi era realmente vantaggioso. Partimmo in quattro e alloggiammo in un polveroso b&b di Schöneberg, condotto da un’anziana signora. Le stanze erano arredate con vecchia mobilia e orrendi, vetusti suppellettili. Tuttavia, l’arioso soggiorno dove venivano servite le colazioni affacciava su una vivace strada, tramite due ampie finestre. Un grande albero di Natale troneggiava in un angolo e io desideravo fortemente che nevicasse: sarebbe stato tutto così. L’accogliente stamberga era a pochi minuti a piedi dal Kurfürstendamm, il viale principale nel pieno centro del settore ovest.

La ricca Berlino Ovest

Il Ku’damm non era altro che un moderno e affollato centro commerciale outdoor. Da un lato, era delimitato dalle rovine della Gedächtniskirche, dedicata all’ Imperatore Wilhelm I. La chiesa fu quasi completamente distrutta dai bombardamenti aerei della II Guerra Mondiale. Le sue rovine sono state mantenute come memoriale, a fianco del nuovo complesso in stile moderno. Tra i quattro elementi che lo compongono, spicca il campanile a pianta ottagonale, con le facciate a nido d’ape.
I miei amici e io ci dedicammo a una sommaria visita della città e a uno shopping moderato, completamente inghiottiti dallo spirito natalizio e consumistico che, dato il periodo, aleggiava prepotentemente.
Trascorremmo un intero pomeriggio intrappolati tra gli 8 piani – oltre 60.000 mq – della KaDeWe, posta lungo il proseguimento del Ku’damm, l’altrettanto trafficata Tauentzienstraße.
La Kaufhaus des Westens (Grandi Magazzini dell’Ovest) era – e credo sia ancora – il più imponente ed esteso grande magazzino d’Europa, secondo solo al londinese Harrods. I prezzi non sono proprio alla portata di tutte le tasche, ma vi si trova davvero di tutto e di più: dalle marche più esclusive di abbigliamento ai prodotti gastronomici più esotici e ricercati.

Passaggio a EST

Sommariamente, per quasi tutto il soggiorno permanemmo in quell’area, con una sbrigativa incursione nel settore orientale.
Dall’immancabile e maestosa Brandenburger Tor, percorremmo tutto l’Unter den Linden – letteralmente “sotto ai tigli” – bollandolo come anonimo e turistico fino al Palast der Republik (di lì a breve demolito) e al Berliner Dom. Arrivati alla Fernsehturm, adiacente alla sterminata Alexanderplatz, tornammo indietro, nostalgici dello sbrilluccichio e dell’opulenza di Berlino Ovest. Convinti che l’ex settore sovietico non fosse meritevole della nostra attenzione e del nostro tempo. Fu un grave errore di valutazione, che ancora oggi non mi perdono.

I russi, gli americani

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Non è mancata l’incursione al Checkpoint Charlie, vero e proprio specchietto per le allodole, ma luogo simbolo di indubbia rilevanza. Lucio Dalla, mio concittadino, aveva più volte raccontato di aver tratto ispirazione per Futura proprio lì, seduto su una panchina, nel lontano 1979. In quell’istante, da un taxi scese nientemeno che Phil Collins (lì, perché in tournée con i Genesis) e si fermò non distante a fumare una sigaretta e a osservare anch’egli il Muro.

Una piazza dal passato travagliato

Il Sony Center non era stato ancora completato – sarebbe stato inaugurato il mese successivo – e Potsdamer Platz era ancora un immenso e fangoso cantiere all’aperto. Fui più attento a non sporcarmi le scarpe e i pantaloni, che a cercare di comprendere l’importanza storica del luogo.

La piazza era una delle più vivaci del XX secolo, sede della stazione ferroviaria più antica di Berlino e dov’era stato installato il primo semaforo d’Europa. Venne poi distrutta dalle bombe e resa, nel dopoguerra, una terra di nessuno, abbandonata all’interno della desolata e minacciosa striscia della morte.
Oggi rappresenta l’anima più moderna e avanguardistica della città.

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La delusione di Alexanderplatz

Restammo a dir poco basiti quando fummo finalmente ad Alexanderplatz. La piazza resa famosa in Italia dall’omonima canzone scritta da Franco Battiato e portata al successo da Milva, interprete tra l’altro di casa in Germania. Per via del pathos di cui quel brano è intriso, le aspettative erano altissime! La prima sera avevamo cenato a una Kartoffelhaus lì nei paraggi, e il suo aspetto spoglio, quasi spettrale, ci aveva sorpresi.
Ci attendavamo sicuramente qualcosa di più caratteristico di quella immane, grigia distesa di cemento.
In conclusione, di quel fugace fine settimana di fine secolo mi rimasero più impressi l’odore di cipolla ovunque, i suggestivi mercatini natalizi e il sottofondo martellante di musica schlager.
Bollai Berlino come una città lugubre e completamente sprovvista di fascino.

Un ritorno non programmato

Forse non sarei tornato nella capitale tedesca, se un mio caro amico non avesse deciso di andarvi a vivere molti anni fa. Ricordo che ero reduce da più viaggi a Madrid, di cui mi ero perdutamente innamorato.
Mentre favoleggiavo circa un trasferimento nel cuore della Spagna, ricevetti un biglietto aereo per Berlino.
Giunsi al vecchio aeroporto di Schönefeld una gelida sera di fine novembre. Qui trovai il mio amico ad attendermi, per scortarmi fino all’attico di un’amica comune, nel piccolo quartiere di Samariterviertel, appartenente al distretto di Friedrichshain. Ero nel cuore della vecchia Berlino Est, in un circondario verosimilmente non stravolto dai quindici anni del crollo del Muro. Gli edifici sulla strada dov’era situato l’attico erano perlopiù nell’architettura tipica dei paesi nord europei. Edifici un po’ trasandati con spioventi ripidi, ampie finestre e rampe delle scale in legno, scricchiolanti e non proprio rassicuranti. Tra l’altro il mio amico mi raccontò dell’alta casistica di incendi, dovuti proprio alla massiccia presenza di materiali lignei.
Nell’insieme, il contesto urbano completamente era alquanto diverso da quello dell’ex Berlino Ovest.

Un mondo sconosciuto

Camminando per strada, a bordo dei tram, seduto in un locale, ero del tutto rapito dalla mescolanza di culture diverse, dalla costante sovrapposizione degli idiomi più disparati. Nonostante le temperature ferocemente basse, c’era sempre movimento, a ogni ora di qualsiasi giorno. Warschauer Straße, la lunga arteria che conduce verso la East Side Gallery e lo scenografico Oberbaumbrücke sul fiume Spree, pullulava di ragazzi che sgambettavano rapidamente da un locale all’altro con una birra o un coffee to go in mano.
La sera dell’arrivo il mio amico mi portò in un bar sulla Frankfurter Allee, dove servivano buonissimi e micidiali drink e cocktail a prezzi – all’epoca – ridicoli. Dopo pochi sorsi mi ritrovai sdraiato su un divano del locale a ridere sguaiatamente, stordito ulteriormente dalla musica elettronica diffusa ad alto volume.

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La voce

All’uscita dal bar, dopo essermi ricomposto, notai che, nonostante l’ora tarda, i tram circolavano e la U-bahn era ancora aperta. “Qui il venerdì e il sabato, i trasporti sono h 24”, mi informò l’amico. C’erano pochissime automobili e in quell’istante immaginai come Roma, in quello stesso istante, fosse certamente congestionata dal traffico.
Nei giorni successivi, il mio amico si prestò come preziosa ed esaustiva guida, accompagnandomi nella perlustrazione di quartieri, monumenti e usanze della città. Visitai il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, inaugurato tre anni prima. Trovavo fantastico che un’area così vasta, a poca distanza dalla Porta di Brandeburgo, fosse stata adibita al memoriale della pagina più vergognosa della storia secolo scorso.
Un’altra esperienza che mi colpì fu il pomeriggio trascorso in una sauna municipale di Neukölln. Persone di ogni età, sesso ed etnia che giravano completamente nudi tra vasche e bagni turchi. Una situazione del genere, in Italia, era a dir poco impensabile.
Una notte, mi ritrovai a passeggiare da solo per la città. Il termometro segnava -8°C, ma ero felice e udivo una voce interiore che mi gridava ininterrottamente “questo è il tuo posto!”.
Anche se, con il tempo, ho maturato l’idea di essere più io ad appartenere a Berlino.

L’impietoso confronto

Il rientro nell’Urbe fu particolarmente traumatico: all’aeroporto di Ciampino mi attesero lo sciopero dei trasporti e un violento temporale. La coda per i taxi era kilometrica e ogni assedio agli sparuti pullman privati per il centro degenerava in una rissa. Una sconosciuta anima pia mi accompagnò fino a una fermata della metropolitana e da lì mi trascinai a piedi fino a casa. Più di 5 km, sotto la pioggia che si era placata, senza tuttavia concedere una tregua. Non sarebbe rimasto, ahimè, un episodio isolato.

Berlino ieri, oggi e domani

Berlino è molto cambiata da allora, e tutt’ora continua a trasformarsi. Quello credo che sia stato il suo ultimo periodo come capitale “povera e sexy”, seducente e a buon mercato. Il costo della vita, in quegli anni quantificabile in circa 1/3 rispetto a quella di Roma, è gradualmente aumentato. All’epoca con 250-300 € era possibile affittare un piccolo appartamento in un quartiere, oggi proibitivo, come Prenzlauer Berg . Nonostante gli sforzi del governo di limitare le speculazioni, i prezzi sono ormai allineati a quelli di altre capitali europee. Purtroppo.

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La mia storia d’amore con Berlino non è stata immediata, ma è solida proprio perché fondata su una conoscenza coltivata nel tempo. In fondo, sono queste le relazioni che più funzionano e resistono.

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